di Alfonso Raimo
Massimo Bugani, per tutti Max, è stato per 10 anni nella squadra dei Casaleggio. La sala comandi del M5s, dove Gianroberto prima, e il figlio Davide poi, insieme ai dirigenti del partito, mandavano avanti il M5s. Dopo diciotto anni, ha aderito prima ad Articolo 1, il partito di Pierluigi Bersani, quindi al Pd. Oggi è assessore nella giunta Lepore a Bologna.
Bugani, Davide Casaleggio è stato spesso critico coi Dem.
Ma le sue idee potrebbero aiutare noi e tutto il centrosinistra. Faccio un primo esempio: vorrei che insieme ai big dell’intelligenza artificiale ci aiuti a capire appieno le potenzialità del lavoro digitale. Può tradursi in sfruttamento e condizioni difficili di lavoro, come avviene spesso nel caso dei rider. Ma può anche offrire grandi opportunità. Mi piacerebbe mettere a contatto Casaleggio con chi studia da 40 anni questo mondo per farli interagire coi nostri militanti. Lui ha portato il modello dei debate nelle scuole. Una metodologia che prevede la creazione di comunità che si confrontano su temi fondamentali attraverso una piattaforma comune. Potrebbe esserci molto utile.
Romano Prodi ha detto: Io usavo il bus. Ora bisognerebbe usare la rete per avvicinarsi ai cittadini.
Ma non c’era niente da correggere nel modello Rousseau?
Assolutamente sì. Bisognerebbe sempre ricordare che la piattaforma è solo uno strumento. Poi dipende da come la usi. Quando sono diventati forti i social, hanno avuto una prima fase di autenticità perché nessuno sapeva come utilizzare e pilotare il mezzo. Quando poi sono stati studiati gli algoritmi, sono diventati meno autentici. Più elaborati, e meno efficaci. Il principio basilare è che la rete deve essere trasparente. Un conto è se io sono nei social, e discuto davanti a una persona che ha la mia stessa buona fede. Tutt’altro è avere di fronte una schiera contraria per partito preso. Ci sono le truppe cammellate anche sul web. Così non ha senso importare la rete in politica. Ma lasciando da parte i social, attraverso la rete ogni forza politica ha la possibilità di coinvolgere più persone per farle sentire parte di una comunità, convincendole a partecipare a un evento fisico perché hanno trovato chi li ascolta. Una cosa non esclude l’altra. Con una metafora: milioni di persone guardando il film comodamente dal divano. Altri vanno al cinema. Ma chi vede la tv può essere invogliato ad andare al cinema. Dimensione in presenza e distanza si intrecciano.
Lei è transitato dal M5s al Pd, passando per Articolo 1. È un matrimonio che si può fare? Pierluigi Bersani propone di dare vita ai Comitati per l’alternativa.
Come prima cosa bisogna capire con realismo che siamo chiamati a una responsabilità più grande delle singole percentuali di partito. Questa è una destra illiberale e pericolosa. Dopo di che la convergenza sui programmi è assolutamente fattibile. Ho tanti amici nel M5s e so che un 90 per cento del programma di Elly Schlein è facilmente sovrapponibile alle idee e alle battaglie che conducono loro. Non bisogna neppure nascondersi che c’è come una diffidenza originaria in molti. Mi spiego: il M5s è costituito in gran parte da militanti di sinistra delusi dalla sinistra di questi anni. Gente come me, o come Fico e Patuanelli, che avevamo Berlinguer come mito. Poi c’è un’ala minoritaria che viene dalla destra, anche loro delusi dall’offerta politica degli ultimi anni. L’esperienza di governo, prima con la Lega, poi con il Pd, ha acuito le distanze interne. Io per anni ho detto che bisognava prendere una direzione chiara verso sinistra per dare un futuro solido per il M5s. A fronte di una riduzione iniziale di consensi, avremmo assicurato maggiore stabilità al Movimento. Ora sono a questo punto. Una parte vorrebbe stare sola contro tutti, perché solo così si sente rappresentata, e una parte minoritaria che farebbe volentieri un governo con la Lega. E poi c’è il grosso del movimento. Io penso che sia un abbaglio ritenere che si possa rimandare a dopo il voto il problema di una convergenza. Sento dire da molti che conviene fare così, perché c’è il proporzionale. Non ha senso. Per fare una squadra che gioca bene e vince, ti devi allenare insieme. Il centrosinistra non può essere il trionfo del tatticismo.