Colombo: le discriminazioni inaccettabili delle minoranze russofone

Anna Colombo e Ugo Pagano - Domani
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Mario Rossi - La Repubblica

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Pubblicato su Domani

di Anna Colombo e Ugo Pagano

Per porsi come baluardo di democrazia, stato di diritto e lotta alla discriminazione, in particolare in difesa e promozione dei valori sanciti dall’articolo 2 del Trattato sull’Unione, che attengono alla dignità umana, alla libertà, alla democrazia, al rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti alle minoranze, l’Europa dovrebbe a volte guardare a che cosa accade all’interno dei suoi confini.

Uno dei casi da tenere sotto osservazione è quello delle minoranze russofone nei Paesi Baltici. Ne va certamente della nostra collettiva credibilità ma anche, viste le circostanze, del modo in cui vogliamo dare un contributo alla pace e alla riconciliazione, che sono il vero DNA dell’Europa stessa.

Già fortemente discriminate, nonostante le pressioni esercitate dall’Ue al momento dell’adesione che ha avuto un successo solo parziale, queste variegate minoranze hanno subito inaccettabili inasprimenti a seguito dell’invasione russa in Ucraina.

Per questo il Forum Disuguaglianze e Diversità ha recentemente ascoltato sul tema esperti, diplomatici e società civile, anche provenienti da quei paesi, con un focus particolare sulla Lettonia.

La situazione della minoranza russofona in Lettonia (attualmente circa il 35% della popolazione totale) è strettamente legata alle vicende della Seconda Guerra Mondiale e al successivo periodo di occupazione sovietica. Dal 1940, dopo l’annessione della Lettonia e l’Olocausto durante l’era nazista, l’equilibrio demografico della Lettonia è stato alterato dalla distruzione della comunità ebraica locale (circa 90.000 persone), dall’arrivo di cittadini prevalentemente russofoni da altre parti dell’URSS e dalle deportazioni della popolazione locale in Siberia (circa 60.000 persone). Nel frattempo, lo status della lingua lettone declinò significativamente tra il 1940 e il 1991, mentre il russo divenne sempre più dominante a partire dai primi anni ’50.

Di conseguenza, al momento del crollo dell’URSS nel 1991, la proporzione in Lettonia era approssimativamente di 50/50 tra la popolazione “etnicamente” lettone e il variegato resto, linguisticamente russofono ma composto anche da ucraini, bielorussi, polacchi, ebrei… per i quali le nuove autorità, dopo lo scioglimento ufficiale dell’URSS, adottarono leggi discriminatorie sulla cittadinanza.

Con l’ingresso della Lettonia (così come per Lituania e Estonia) nell’Ue il tema divenne un prioritario problema politico, e molte restrizioni vennero abolite. Ciononostante, ancora oggi, circa 170.000 residenti permanenti in Lettonia (il 10% della popolazione) hanno lo status di “non-cittadini”, status che limita fortemente la loro partecipazione alla vita politica del Paese, anche a livello locale.

L’inaccettabile e criminale aggressione russa in Ucraina del febbraio 2022 e il perdurare della guerra hanno notevolmente aggravato le politiche discriminatorie verso i russofoni e le tensioni generali. In particolare, sono state adottate riforme per l’eliminazione della lingua russa dalle scuole, per limitare ulteriormente l’uso del russo da parte delle istituzioni, abolendo altresì il russo nelle campagne elettorali.

Inoltre, 30 mila cittadini russi residenti in Lettonia con permessi di soggiorno permanente, su circa 40 mila totali, sono stati informati della necessità di superare un esame di lingua lettone e Costituzione per non vedersi revocare il permesso. Di questi, circa il 50% ha superato l’esame, mentre 200 hanno già ricevuto un avviso di espulsione. Si tratta per lo più di anziani, spesso soli, in cattive condizioni di salute e con mezzi modesti, per i quali stress e declino cognitivo rappresentano gravi ostacoli al superamento dell’esame.

Sappiamo tutti come nel contesto attuale ogni azione volta a scongiurare un inasprimento delle tensioni fra Ue e Russia ai confini sia essenziale per la sicurezza comune. Un recente tragico episodio occorso in Lituania, dove quattro soldati statunitensi sono stati dati dispersi a seguito di un incidente tecnico (ammesso come tale) in acque paludose sul confine con la Bielorussia ci dice quanto il rischio di escalation sia concreto.

Non giova quindi l’attuale accanirsi contro minoranze che sono in gran parte pro europee e pro NATO, con il pretesto della disinformazione russa (della quale non si vuole certo sottovalutare impatto e pericolosità generali), così come non giova additare come pro Cremlino qualsiasi difesa dei loro diritti.

Sarebbe invece necessario, anche per dare un contributo affinché il Baltico non diventi un nuovo punto di tensione nei rapporti UE/NATO-Russia, favorire integrazione e senso di appartenenza di questi nostri concittadini europei alla Casa Comune. Basterebbero pochi passi, ma urgenti, volti a limitare espulsioni indiscriminate favorendo al contrario l’apprendimento del lettone, la partecipazione democratica e l’ottenimento della cittadinanza a chi ne facesse richiesta. Tutto questo è poca cosa, non è neppure ancora un riconoscimento linguistico e culturale delle minoranze, che pure è una regola fondamentale della costituzione materiale della comunità europea. Ma sarebbe già un segnale, e andrebbe non solo nella direzione della giustizia, ma anche in quello della sicurezza nazionale, europea e della NATO. Perché esercito e difesa da soli non bastano. Mai.

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