di Eleonora Camilli
«Mi chiedo solo che senso abbia tutto questo». Don Mattia Ferrari, il cappellano di bordo dell’Ong che salva i migranti in mare, Mediterranea saving humans, non è stupito. Non era così difficile ipotizzare, come si è scoperto ieri, che ci fosse anche lui nella lista delle persone spiate con lo spyware Paragon, insieme a Luca Casarini e Beppe Caccia, i fondatori dell’organizzazione. Oltre al direttore di Fanpage, Francesco Cancellato e al rifugiato sudanese e presidente di Refugees in Libya, David Yambio. Ma si dice sereno: «Non sono preoccupato per me ma per i migranti che subiscono violenze e torture. È una vicenda che va chiarita al più presto».
Don Mattia Ferrari, come ha capito di essere stato spiato?
«L’ho saputo da Meta, grazie anche ai ricercatori del Citizen Lab dell’Università di Toronto. Non mi ero accorto della notifica, che pure era arrivata sul mio telefono l’8 febbraio dello scorso anno, lo stesso giorno di Luca Casarini. In questi giorni, quando mi hanno avvisato ho cercato a ritroso ed effettivamente l’avviso c’era».
Che reazione ha avuto?
«Non. posso dirmi stupito, visto che a essere spiate erano persone del gruppo con cui collaboro stabilmente. Certo, questa situazione va indagata, bisogna fare luce. Mi chiedo soprattutto perché e che senso abbia tutto ciò».
Che risposta si è dato?
«Non lo so davvero. Di sicuro non si scopre oggi che la solidarietà, specialmente verso i migranti, è considerata sovversiva. Siamo sempre più una società del “me ne frego” degli altri dove chi, invece, si prende a cuore gli ultimi, e particolarmente i poveri, diventa scomodo. Ecco, quello che spero è una riconciliazione dove si rimetta al centro la solidarietà, la collaborazione e la fraternità. Veniamo anche da giorni in cui si è parlato molto del caso Almasri. Le due vicende teoricamente sono scollegate, ma restano comunque due ferite da riparare».
Qual è esattamente il suo ruolo dentro l’ong Mediterranea saving humans?
«Sono il cappellano di bordo e mi occupo della cura spirituale dell’equipaggio e dei migranti, che attraversano il mare o che vengono respinti nel deserto. mi sono trovato anche a essere chiamato per dare la benedizione a persone torturate nei lager libici che erano in fin di vita. Inoltre, ricevo insieme agli atri chiamate da migranti per portare alla luce casi che altrimenti resterebbero invisibili. Altro compito mio è la cura delle relazioni di Mediterranea e di altri movimenti popolari con la Chiesa cattolica».
Crede che possa esserci un legame tra le intercettazioni e il rapporto che lei ha con i migranti che stanno dall’altra parte del Mediterraneo?
«È ipotizzabile, ma ci sono anche tante altre possibilità. Ora però bisogna capire e chiarire questa vicenda. Non ho paura per me, ma per le persone che subiscono orrori ne violenze indicibili sulla base di accordi che gli Stati hanno stipulato per tenere i migranti lontani dalle nostre coste, sacrificando i diritti umani e la fraternità che ci lega».
Papa Francesco nella sua ultima intervista a Che tempo che fa di lei ha detto: «Don Mattia è bravo, lavora bene e prega». Sembra di capire che incoraggi il suo lavoro con Mediterranea e i migranti.
«La mia e la nostra relazione non è solo con lui, ma con tutta la comunità cristiana. Ed è tutta la Chiesa che incoraggia a stare vicino agli ultimi, dunque anche ai migranti. In questi giorni, in cui ci siamo uniti nella preghiera speciale per papa Francesco per la sua guarigione, sta avvenendo un fenomeno impressionante».
Quale?
«Arrivano messaggi da ogni parte del pianeta, non solo di cristiani ma anche di persone di altre religioni… tutto il mondo si sta unendo intorno al nostro pontefice. Anche nella malattia si sta realizzando dunque il sogno del suo pontificato, che è il sogno di Gesù: tutto il mondo, con i poveri davanti a tutti, unito in un unico grande amore, un’unica grande fraternità. Questo è un grande messaggio: prendiamoci per mano e camminiamo insieme. Papa Francesco ci sta mostrando anche così che possiamo essere veramente fratelli e sorelle, tutti».