Fornaro: con questo astensionismo anche i referendum a rischio

Francesco Bei - la Repubblica
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Mario Rossi - La Repubblica

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Intervista a Repubblica

di Francesco Bei

In Trentino e Alto Adige – dove si votava per la cosa che i cittadini un tempo sentivano più vicina, il comune – domenica scorsa la metà degli elettori è rimasta a casa. A Trento si è andati persino sotto (49,9%) la soglia psicologica della metà degli aventi diritto. Il campanello d’allarme risuona fortissimo anche in vista dei referendum su lavoro e cittadinanza, tanto che Federico Fornaro – l‘esperto Pd di legge elettorale – al momento vede il quorum “molto lontano”.

Cosa è successo alle comunali di domenica a Trento e Bolzano?

«Si conferma un fenomeno strutturale che vediamo non solo in Italia ma in tutta Europa, preoccupante per la tenuta stessa della democrazia. Attenzione, perché non stiamo parlando di un tratto passeggero ma del principale elemento di allarme per la crisi di rappresentanza della democrazia».

Lei è in libreria in questi i giorni con un saggio dedicato proprio all’astensionismo e alla deriva plebiscitaria, intitolato “Una democrazia senza popolo”. Nel saggio attribuisce la crisi della democrazia a quattro “tarli del legno”. Cosa intende?

«Ho usato la metafora di questi quattro insetti che non si vedono, ma che destrutturano le Istituzioni dall’interno. Il tarlo non si vede, si vede soltanto la polverina bianca sul mobile. Quella polverina è l’astensionismo».

E i quattro tarli?

«Il primo è l’eccesso di diseguaglianze economiche e sociali, che stanno mettendo in discussione l’utilità stessa della democrazia per la gente comune. Il secondo è la perdita di memoria storica: viviamo tutti in un eterno presente che non ci permette più di guardare e giudicare quello che accade sulla base degli errori del passato. Il terzo è l’avvelenamento dei pozzi della conoscenza fondamentali per la formazione dell’opinione pubblica, con la disinformazione e le fake news. L’ultimo tarlo è la perdita di fiducia nel futuro, nel progresso, nel miglioramento della società. La politica non appare più in grado di essere portatrice di speranza. Tutti questi fattori producono disincanto e distacco dal voto».

È preoccupato per i prossimi referendum su lavoro e cittadinanza?

«Se guardiamo alle affluenze degli ultimi referendum, oggettivamente il quorum lo vedo molto lontano. La speranza è che, trattando problemi che toccano la vita quotidiana dei lavoratori, i quesiti inizino a scaldare. Andare a votare i referendum significa anche mettere uno stop alla perdita di valore del lavoro stesso».

C’è poi il quesito per dimezzare i tempi per ottenere la cittadinanza italiana…

«Non è ancora lo ius soli ma la riduzione dei tempi va nella direzione giusta. Essere cittadino comporta diritti e naturalmente anche doveri. Noi viviamo il paradosso di persone nate e cresciute qui, insieme ai nostri figli, che non hanno gli stessi diritti dei loro compagni di banco. È tempo di sanare questo vulnus».

Un capitolo del libro è dedicato agli astensionisti. Chi sono?

«L’astensione si caratterizza per una condizione economica e sociale medio-bassa, per una istruzione medio-bassa, sono persone che vivono spesso in aree marginali: le periferie delle città ma anche le zone interne, quelle dove la connessione Internet non è 5G o con la fibra, ma ancora con il vecchio doppino di rame. Si sentono cittadini di serie B, esclusi, e non vedono più nella politica la leva per migliorare le loro condizioni di vita materiali».

In tutto ciò Fratelli d’Italia e Forza Italia invitano apertamente a non andare a votare. Un’arma scorretta?

«È un trucco antico, perché l’astensione “politica” si somma all’astensionismo strutturale e porta alla mancanza di quorum. Per questo nella scorsa legislatura avevamo provato a cambiare la norma, prevedendo che il 50% più uno dei votanti per rendere valido il referendum dovesse essere calcolato non sul totale degli aventi diritto ma sul numero dei votanti alle ultime politiche. Sarebbe una modifica sensata per salvaguardare uno strumento importante che serve anche per ridurre la distanza tra i cittadini e le istituzioni».

Giorgia Meloni, viste le difficoltà che incontra il premierato, sarebbe intenzionata a cambiare la legge elettorale prevedendo un proporzionale con premio di maggioranza e indicazione del candidato premier sulla scheda. È un modo per mettere in difficoltà il centrosinistra che, al momento, non si mette d’accordo su chi debba essere il leader?

«Ancora una volta si discute di legge elettorale senza confrontarsi sui modelli, senza proporre rimedi per il distacco dalla politica di cui stavamo parlando prima. È un tentativo furbesco: non riuscendo a far passare il premierato per le evidenti criticità costituzionali, Meloni vuole rafforzare il premier con una maggioranza blindata dal premio di maggioranza e ottenere la certezza della stabilità».

Perché dovrebbe essere un male una maggioranza stabile e un premier che dura una legislatura?

«Partono con il piede sbagliato, la stabilità è ovviamente un valore ma lo è anche avere un parlamento rappresentativo e non sottomesso al governo. Bisogna trovare un corretto equilibrio tra queste due esigenze, altrimenti si apre la strada a un modello di democrazia autoritaria dove tutto ruota intorno al leader di turno senza contrappesi. E non si affronta il vero problema, quello delle liste bloccate, che servirebbe a ridurre il fossato tra eletti ed elettori».

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