Intervista a La Stampa
di Niccolò Carratelli
Federico Fornaro l’ha presa sul personale. «Mi sono sentito offeso, indignato, non potevo trattenermi», racconta il deputato Pd, protagonista di una delle reazioni più veementi contro Giorgia Meloni nell’Aula della Camera. «Un simile oltraggio alla memoria non poteva essere tollerato».
Dopo essere intervenuto per stigmatizzare le parole della premier si è commosso.
«Sì, mi sono arrabbiato molto, l’emozione è stata forte. In quel momento ho pensato in particolare a Eugenio Colorni, che è stato il vero ideologo del federalismo europeo e che poi nel 1944 è stato arrestato dalla polizia fascista, consegnato ai nazisti e ucciso».
Cosa l’ha fatta arrabbiare della citazione fatta da Meloni?
«Il fatto che fosse decontestualizzata, frasi estrapolate per strumentalizzare. C’era un chiaro obiettivo di provocare, stravolgendo la storia, anzi riducendola a macchietta. Facendo passare tre eroi, nel senso etimologico del termine, come tre propagandisti della dittatura del proletariato».
Qual era invece il contesto?
«Era il 1941, con un nazismo imperante e un Mussolini che tutti davano per vincente. Quegli uomini erano al confino politico, nel momento più basso, nel periodo più buio. E quel documento ha rappresentato un faro, una luce da seguire. Non si può non riconoscerne il valore storico e politico».
Ma è legittimo esprimere delle critiche sui contenuti, no?
«Certo, come tutti i documenti politici si può criticare, ma non si può offendere la memoria. Ed è ancora più grave che a farlo sia una presidente del Consiglio, non in un comizio, ma in un’Aula parlamentare, in un momento storico come quello che stiamo vivendo. Certe cose non sono da statista, ma da propagandista».
Lo ha urlato in faccia a Meloni, in quei minuti concitati.
«Le ho detto di vergognarsi e le ho ricordato che se tutti noi siamo lì, in quell’Aula, è anche grazie al sacrificio di questi uomini, figure straordinarie, la cui storia non può essere banalizzata o denigrata».
Meloni lo avrebbe fatto per distogliere l’attenzione dai temi del Consiglio europeo. Siete caduti nella trappola?
«Se così fosse, lo rivendico, pronto a ricaderci tutti i giorni, altre cento volte, pur di difendere la nostra memoria. La premier provi ad andare a Bruxelles a ripetere quelle cose su Altiero Spinelli, e vedrà gli schiaffi che prende».
Ha provato a oscurare le divisioni con la Lega sul piano di riarmo europeo?
«Non mi interessa perché ha preparato questa cosa o chi gliel’ha suggerita. Se hanno dei problemi, e li hanno, se li vedano a casa loro, ma non si permettano di mistificare la storia, perché lo spirito di Ventotene deve essere coltivato, non sporcato».
Lo spirito di Ventotene?
«È quello da cui nasce l’integrazione europea, a cui non siamo davvero mai arrivati. Gli Stati Uniti d’Europa, i cui presupposti nascono a Ventotene. Poi è mancata la visione di lungo periodo, c’è ancora strada da fare, ma quello spirito, quell’idea di integrazione resta ancora oggi il migliore antidoto di fronte ai nazionalsmi. Un messaggio che, d’altra parte, diffondeva già Giacomo Matteotti nel 1923».
Meloni ha detto che quella non è la sua idea di Europa.
«Si era capito, l’etichetta giusta per lei è nazional-populista».
E per il presidente della Camera Lorenzo Fontana, che non è stato proprio reattivo nel richiamare la premier?
«Fontana sarebbe dovuto intervenire subito per chiedere rispetto, ricordandosi di essere il presidente della Camera dei Deputati della Repubblica italiana. Bene che lo abbia fatto dopo, anche se, diciamo, abbiamo dovuto sollecitarlo».