Intervista a La Nuova di Venezia e Mestre
di Carlo Bertini
«Malgrado quanto detto di recente da Giorgia Meloni, oggigiorno la nostra democrazia è fragile e rischia di diventare una democratura», sostiene Federico Fornaro, deputato del Pd, scrittore e studioso della Costituzione, che ha appena pubblicato con Bollati Boringhieri il libro Una democrazia senza popolo. Testo ricco di richiami storici, che analizza, con dati e cifre su scala europea, la piaga dell’astensionismo, ma non solo. Con il 25 aprile appena trascorso, infatti, torna di attualità la polemica sull’antifascismo, esplosa già quando il Manifesto di Ventotene fu strapazzato da Giorgia Meloni e difeso in aula proprio da Fornaro: salito agli onori delle cronache per quelle lacrime di commozione, versate alla fine della sua reprimenda parlamentare alla premier, in memoria di Eugenio Colorni, massacrato dai fascisti.
Lei nel suo libro denuncia un tentativo di cancellare dal basso l’identità antifascista della Costituzione. Non ritiene che le parole della premier pronunciate il 25 aprile «onoriamo i valori democratici negati dal fascismo», rappresentino una svolta?
«Lo vedremo nei fatti. Di sicuro sono un primo passo avanti. Ma da quanto hanno fatto fin qui mi pare evidente lo sforzo di proporre una riscrittura del ventennio, con l’obiettivo di equiparare fascismo e antifascismo e di considerarli due vecchi arnesi della storia, in questo modo rinnegando la natura antifascista della Costituzione italiana. E d’altronde i partiti attualmente al governo non appartengono alle culture e famiglie politiche che hanno dato vita alla Carta costituzionale, né Fratelli d’Italia, né la Lega e in fondo neanche la stessa Forza Italia».
Ma cosa intende quando sostiene che l’Italia stia diventando una “democratura”, termine spesso accostato all’Ungheria di Orban?
«Che il rischio non è tanto il ritorno a un nuovo fascismo, ma un lento scivolamento da una forma classica di democrazia costituzionale a una forma di democrazia autoritaria, o “democratura”, in cui sono salvi gli aspetti formali – leggi, costituzioni, regolamenti – ma all’interno ci sono comportamenti di tipo autoritario: come intervenire sulla libertà di stampa e ridurre il potere del Parlamento e delle corti costituzionali».
Il potere del Parlamento in realtà è stato ridotto da tutti gli ultimi governi, compresi i vostri, con l’abuso dei decreti legge.
«Certamente arriviamo da una stagione in cui c’è stata molta compressione del ruolo del Parlamento, ma la proposta di Premierato di fatto lo farebbe finire sotto il controllo del premier eletto. Ancora di più di quanto non lo sia oggi, perché neppure nei sistemi presidenziali più spinti, come gli Stati Uniti, al presidente viene garantita la maggioranza di Camera e Senato».
Dal suo osservatorio di delegato d’Aula, non pensa che questa riforma si arenerà come l’Autonomia differenziata?
«Per quel che riguarda l’autonomia regionale, un po’ come nel gioco dell’oca si è ritornati al punto di partenza. E vedremo dove si arriverà. Invece il Premierato è fermo in prima commissione Affari costituzionali e credo che nella maggioranza di governo stia crescendo l’idea che forse si possa arrivare allo stesso obiettivo passando per una nuova legge elettorale come quella dei sindaci».
E cosa può produrre un premierato in una fase di astensionismo ormai quasi patologico?
«L’astensionismo è indicatore di un malessere delle democrazie ed è evidente che più alto è il disincanto, maggiore sarà la possibilità che passi un’idea malsana di democrazia autoritaria».