di Giovanna Casadio
«Non permetteremo a Giorgia Meloni di nascondersi sulla riduzione dell’orario di lavoro, come già ha fatto sul salario minimo, e non è vero che il problema sono le coperture». Maria Cecilia Guerra è in genere pacata. Ex vice ministra al Lavoro, ora responsabile occupazione nella segreteria del Pd, ha alle spalle una vita di trattative. Ma il modo in cui la destra punta ad affossare la settimana corta di lavoro la «indigna».
Sulla settimana di lavoro corta la destra accusa la sinistra di non sapere affrontare la questione. Voi opposizione invece ritenete che sia per Meloni l’ennesima fuga da un problema?
«Noi del Pd daremo il tormento alla premier e alla destra di governo che, come al solito, si butta alla macchia. La riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario è ineludibile. Serve a evitare che l’innovazione tecnologica e l’intelligenza artificiale si traducano in aumento della disoccupazione, e a garantire una migliore conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Il governo Meloni ha preso l’impegno di fare una proposta e non sfuggirà, noi la staneremo: i problemi dei cittadini non scompaiono con atti di codardia».
Proviamo a riavvolgere il filo: non c’era una trattativa in corso tra opposizione e maggioranza? Non eravate a un passo dal traguardo?
«Il governo ha seguito il copione di sempre: davanti a temi importanti e decisivi per il Paese non sa dare risposte. Scappa come con il salario minimo. In quel caso ha votato una finta legge delega che da diciotto mesi è ferma al Senato. Da diciotto mesi! La settimana di lavoro corta la rimanda in commissione alla Camera e là pensa di farla morire, dopo che tre mesi fa il sottosegretario Claudio Durigon si era impegnato a presentare, a gennaio una proposta su cui discutere».
Per quale ragione c’è di nuovo uno stallo? La Spagna sta adottando la settimana di lavoro a 37,5 ore.
«In aula la maggioranza ha sostenuto che la Commissione bilancio avrebbe certificato l’assenza di coperture. Ma per la verità la commissione bilancio non si è affatto pronunciata e quella riportata era solo la valutazione della maggioranza e del governo».
Il vostro provvedimento era una idrovora di finanziamenti?
«Ma niente affatto. Noi abbiamo costruito una legge che non ha problemi di coperture perché prevede un tetto di spesa».
Gli 8 miliardi mancanti di cui diceva il presidente della commissione lavoro, il meloniano Walter Rizzetto?
«La nostra proposta prevede un sostegno in termini di decontribuzione parziale e temporanea per le imprese in cui, sulla base della contrattazione collettiva, si decida di sperimentare la riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Premiamo quindi le imprese che fanno da volano partendo per prime. Abbiamo previsto un finanziamento di 50 milioni per il primo anno, quando i contratti devono ancora partire, e di 275 milioni per il secondo e per il terzo».
La proposta italiana è simile a quella spagnola? Quanto lavoro in meno si potrebbe fare?
«Come in Spagna non si agisce inizialmente con una riduzione imposta per legge, ma si dà sostegno ai contratti e quindi alle realtà aziendali, che decidono di mettere in atto la riduzione dell’orario. Ci sono già realtà che si stanno muovendo in questa direzione: penso alla Lamborghini o a Banca Intesa, ma la riduzione dell’orario di lavoro è anche in contratti in discussione, come quello dei metalmeccanici».
La spunterete?
«A Meloni e alla destra vogliamo dire che il tema della riduzione dell’orario di lavoro è ineludibile. Ogni rivoluzione tecnologica come quella che stiamo vivendo della digitalizzazione e dell’intelligenza artificiale ha comportato una perdita di lavoro prima e una riduzione dell’orario di lavoro poi. Agiamo subito per avere meno ore di lavoro subito a parità di salario, per governare il cambiamento e non per farcene sopraffare».