di Arturo Scotto
Le cose vanno chiamate con il loro nome. La pulizia etnica viene sdoganata direttamente dallo Studio ovale della Casa Bianca. E diventa realtà. Se Gaza deve diventare come la Costa Azzurra – questa l’intenzione di Trump – allora due milioni di persone devono andare via. Se li prendano gli egiziani, i giordani o qualche altro paese arabo. Tanto – e questo è il sottinteso della destra suprematista ad ogni latitudine del globo – sono tutti uguali. Insomma, similia cum similibus.
Nel frattempo l’America – di nuovo grande, di nuovo orgogliosamente imperiale – la ricostruirà integralmente. Per farci un grande parco giochi dove potranno andare a svernare ricchi signori da tutte le parti del mondo. Tranne i palestinesi, ovviamente. Per loro altri decenni di vita profuga, aspiranti cittadini di uno Stato che non ci sarà mai.
Era l’esito prevedibile della vittoria del tycoon americano a cui il criminale di guerra Bibi Netanyahu – destinatario di un mandato di cattura internazionale della Cpi – ha riconosciuto candidamente di essere il più grande amico di Israele di sempre. D’altra parte, il prolungamento per quindici mesi dell’attacco a Gaza non era altro che un intervallo tra l’uscita di scena di Biden e l’arrivo di Trump. Questo covava nella testa del premier israeliano: lo sapevano tutti, compresi i democratici americani che non hanno mosso un dito per fermare la carneficina e aprire un negoziato vero che stabilizzasse l’area.
E oggi Bibi va alla ricerca di uno scudo politico e penale da una nuova amministrazione pienamente amica. Che non esita nemmeno ad assecondare il suo lessico davanti alla domanda di un giornalista: la Cisgiordania non è più tale, si chiama Samaria come nella denominazione biblica. Ovvero non esiste, come non potrà mai esistere un’entità statuale palestinese. Decine di anni di colloqui, negoziati, compromessi costruiti e poi falliti vengono cancellati in una conferenza stampa. Trump annuncerà tra quattro settimane qualcosa sul controllo di Israele sulla West Bank e dunque sul destino di quel che resta dell’Autorità nazionale palestinese.
Ho la netta sensazione che non arriverà nulla di buono. D’altra parte, con lo sblocco di un miliardo di dollari di armi per Netanyahu sarà più facile chiudere la partita a Jenin, Nablus, Hebron e puntare dritti su Ramallah. Armi che servono per difendere ed espandere insediamenti illegali secondo tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite degli ultimi cinquant’anni. Carta straccia per Trump, che annuncia l’uscita dal Comitato dei diritti umani dell’Onu e fa votare al Senato una legge che nei fatti mette definitivamente in naftalina ogni velleità di indagine della Corte penale internazionale.
Ci occuperemo noi di Gaza, fa capire esplicitamente il tycoon. Ricostruiranno gli americani, che rimetteranno piede con le loro truppe probabilmente in Terrasanta. Con il beneplacito del ministro estremista della sicurezza nazionale Ben Gvir che aveva teorizzato già da tempo la ricolonizzazione di Gaza e l’espulsione dei palestinesi.
Dollari e armi per costruire nuovi resort di lusso nella striscia su cui il genero di Trump, Jared Kushner, aveva già messo gli occhi da tempo. “Avranno un grande valore immobiliare” ebbe a dire, mentre venivano distrutte il 70 per cento delle infrastrutture e i numeri dei morti sotto le bombe israeliane arrivavano fino a cinquantamila, donne e bambini compresi.
Senza dubbio, per fare qualche affare due milioni di persone tra i piedi risultano un intralcio insopportabile. Non si era mai vista nella storia una tale esibizione di cinismo. La disumanizzazione dei palestinesi è un fatto che viene da lontano: non tutti i morti sono uguali per chi comanda il mondo. E una vita di Gaza vale meno che altrove. Ora questo cinismo diventa una politica.
Non bisogna farsi molte illusioni sull’Europa, impegnata a parare goffamente i colpi di una guerra commerciale dichiarata da Trump in tempi non sospetti e contro cui non ha mai preso le contromisure. Ma una guerra commerciale si argina se c’è una politica estera degna di questo nome e una visione rigorosa del rispetto del diritto internazionale senza doppi e tripli standard.
Ad esempio riconoscendo lo Stato di Palestina. Proprio ora, quando tutto sembra impossibile. Per riaprire la partita.