Le manganellate di governo all’opposizione e i liberali equidistanti

di Arturo Scotto
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Mario Rossi - La Repubblica

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Giorgia Meloni alamy.com/NurPhoto SRL
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di Arturo Scotto

Il festival del vittimismo di Giorgia Meloni ha raggiunto l’apice dopo il discorso di Elly Schlein al congresso di Amsterdam del Pse. Lo ha definito «un delirio». Un termine che viene attribuito abitualmente a chi è fuori di testa e non è in grado di portare avanti un discorso lineare e sensato.

Se questa è l’opinione che la presidente del Consiglio ha della principale leader dell’opposizione, parlare di deriva autoritaria della destra non è poi così peregrino: significa che il problema esiste. D’altra parte, riesce meglio dileggiare gli avversari piuttosto che rispondere nel merito. È una tecnica consolidata dei regimi, che hanno sempre alimentato la loro forza ridicolizzando gli oppositori, talvolta bollandoli come disfattisti, talaltra riducendoli a nemici della stabilità. Come se la stabilità fosse un concetto neutro, vedasi – per i cultori della materia – il Ventennio.

La presidente del Consiglio alza i toni a proposito del legame tra pericolosità dell’estrema destra e attentato alla libera stampa dopo il caso Ranucci. Le serve soprattutto per trasformarsi da predatore a preda e sguinzagliare i suoi cani da guardia nei media mainstream che, in maniera ovviamente strabica, accusano l’opposizione di abbandonarsi a pericolosi estremismi. Chiaramente sono gli stessi che non hanno mai osato dire mezza parola quando la Meloni è arrivata a paragonare i suoi avversari ad Hamas o a liquidare la Flotilla – tra l’altro da New York durante l’assemblea generale dell’Onu – come disegno delle opposizioni contro di lei. Il capo va tutelato sempre, anche quando esagera. Non sia mai che si inciampi nella lesa maestà.

La cosa che stupisce è che nessuno si sia invece soffermato su questa frase di Meloni: «Vergogna, Elly Schlein, che vai in giro per il mondo a diffondere falsità e gettare ombre inaccettabili sulla Nazione che, da parlamentare della Repubblica italiana e leader di partito, dovresti rappresentare e aiutare». In queste parole sono sintetizzate le ragioni per cui la democrazia corre qualche rischio. L’opposizione, attaccando il capo del governo – per di più dall’estero – danneggia la “Nazione”. Come se la nazione – io preferisco sempre chiamarlo il paese – fosse esclusivamente immedesimata nel corpo e nelle parole di Giorgia Meloni. E dunque non suscettibile di critica.

Questa equiparazione è gravissima e senza precedenti. Berlusconi la usò qualche anno fa, definendo la sinistra “anti italiana” ma non scivolò mai – lui che pure si definiva l’unto del signore e non era secondo a nessuno in quanto a ego – nella presunzione di scambiare se stesso con il tutto. Meloni, purtroppo, lo fa. Forse perché è il riflesso condizionato di un passato che non passa. Forse perché le serve tenere sempre alta la tensione. Per lei governare significa comandare, e dunque si sente in diritto di bacchettare tutti: la Flotilla, i giornalisti, Landini, Schlein. Ha bisogno del nemico perché le consente di tenersi permanentemente mobilitata e nascondere i fallimenti della sua politica economica. E quando il nemico alza la cresta, bisogna scatenare tutta la grancassa mediatica, compresa una macchina oliata e direttamente telecomandata dal suo braccio destro a Palazzo Chigi Fazzolari, che prepara quotidianamente le veline per dettare l’ordine del giorno sulle presunte campagne d’odio della sinistra.

L’Italia è un laboratorio di manipolazione scientifica della realtà, insomma. È il luogo, insieme agli Stati Uniti, dove chi governa ha come obiettivo più o meno esplicito quello di annichilire l’opposizione. Lo fa con i decreti che trasformano le camere in una dépendance di Palazzo Chigi, con gli insulti che devono essere mirati e costanti e, domani, con le leggi elettorali che servono a trasformare sconfitte certe in potenziali vittorie a tavolino.

Di fronte a tutto questo, il riflesso dei benpensanti – che invitano ad abbassare i toni chi non ha potere, mentre non hanno mai nulla da dire su chi il potere lo accentra totalmente – rivela il nervo scoperto della democrazia italiana. Penso ad esempio a chi, non solo Calenda, chiede all’unisono a Meloni e Schlein di smettere di bisticciare e di pensare ai problemi degli italiani. Come se fossero la stessa cosa, come se avessero lo stesso livello di responsabilità, come se avessero lo stesse opportunità di accesso ai mezzi di comunicazione.

Bacchettare chi conta e chi non conta allo stesso modo, significa oggettivamente prendersela solo con chi non conta. Siamo sempre lì, allo stesso punto della storia italiana: una cultura liberale – o cosiddetta tale – che, quando la partita si fa più difficile, non esita ad andare in soccorso della destra più radicale pur di non far emergere un’alternativa fondata sulla giustizia e la libertà. Tutto questo non promette bene.

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Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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