di Umberto De Giovannangeli
Arturo Scotto, capogruppo PD alla commissione Lavoro della Camera e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico: Trump ha dichiarato finita la guerra con l’Iran. Ma la tensione in Medio Oriente resta altissima e lo spettro di un conflitto globale è tutt’altro che evaporato.
Siamo davanti all’affermazione di una strategia della tensione permanente, dove le regole della coesistenza pacifica sono saltate da un pezzo. Questo passaggio storico mi sembra la prosecuzione naturale del tabù rotto dopo la seconda guerra d’Iraq: la potenza più grande del mondo può fare qualsiasi cosa, anche fabbricare prove false pur di occupare un paese sovrano. Nessuno dimenticherà mai la scena di Colin Powell al Consiglio di sicurezza dell’Onu con la pistola fumante sulle armi chimiche. Fu la capitolazione della presunta superiorità morale dell’Occidente. La teoria della legittima difesa preventiva ha destabilizzato intere aree del Medio Oriente generando conseguenze che ancora oggi facciamo fatica a calcolare. Non ci siamo più ripresi da allora, il primato del diritto internazionale ha cominciato clamorosamente a barcollare, si è affermata una idea di scontro di civiltà che carsicamente è riemersa in varie fasi della nostra storia attorno alla spirale guerra-terrorismo. In questo quadro la politica perde peso, valore, capacità di incidere. Vince il far west, la diplomazia viene degradata a una cianfrusaglia da mettere in soffitta. Abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la tregua tra Iran e Israele dopo 12 giorni che sono sembrati un antipasto della terza guerra mondiale. Ma questa crisi ci rivela quanto è fragile l’attuale ordine mondiale, esposto agli umori, i proclami, le minacce di classi dirigenti inaffidabili. Serve un nuovo sistema di regole che rimetta al centro la legge e non l’arbitrio. Un nuovo “governo mondiale” per citare il messaggio dell’ultimo Berlinguer dinnanzi alla crisi degli euromissili agli inizi degli anni ‘80.
Il Medio Oriente è in fiamme. La polveriera è esplosa. Da Gaza all’Iran è guerra totale. Ma in Italia si continua, sulla stampa mainstream, a imbastire processi mediatici contro i pacifisti “antisemiti” e ora anche “filo-Khamenei”
Sono due anni e mezzo che il dibattito sul pacifismo è diventata la leva per dividere il mondo tra gli apocalittici e gli integrati. Se dici che la guerra non è la soluzione, la risposta è che ami le dittature oppure che sei complice talvolta delle derive imperialiste di Putin piuttosto che del terrorismo di Hamas, se non addirittura del fondamentalismo degli ayatollah. Siamo alla post verità. Putin è il rappresentante più fiero di una cultura reazionaria, nazionalista e religiosa, che la sinistra ha sempre contrastato. Hamas è l’opposto dell’obiettivo che abbiamo sempre perseguito di due stati che vivessero in pace e sicurezza oltre che di una Palestina laica e democratica che era il sogno di Arafat. Infine, su Khamenei preferisco stendere un velo pietoso: alle manifestazioni di “Donna, vita, libertà” non ho visto mai nessuno di questi soloni. Noi ci siamo stati con gli iraniani democratici davanti alle ambasciate, nelle piazze, nei convegni. E ci siamo ancora. Tant’è che hanno parlato sempre alle nostre manifestazioni, compresa l’ultima promossa dalle reti pacifiste il 21 gennaio. Ha concluso il corteo una esponente di quel movimento accanto al capo della comunità palestinese di Napoli. Ma nessuno lo ha scritto. Erano troppo impegnati a screditarla contando quante fossero le bandiere bruciate, tra l’altro in un corteo alternativo a quello dei pacifisti. Gesto che naturalmente è stato condannato dagli organizzatori come da chi vi ha partecipato come me facendo il corteo con l’Arci e le Acli. Associazioni, come è noto a tutti, dove militano “pericolosi sovversivi”.
Lei è stato tra i dirigenti Pd che hanno partecipato alla manifestazione di sabato scorso a Roma. Per alcuni esponenti del suo partito, da quella manifestazione bisognava stare alla larga.
Abbiamo detto che il piano di riarmo di Ursula Von der Leyen era sbagliato, l’opposto di una politica estera e di sicurezza comune. Mi sembrava del tutto coerente essere accanto a chi dice che si va verso una strada pericolosa e insensata che è quella dell’aumento delle spese militari. Elly Schlein è stata chiarissima su questo: ci vuole la difesa comune, mettere insieme e razionalizzare i sistemi d’arma, scommettere sulla diplomazia. Invece siamo davanti ad altro. Siamo davanti a una logica di guerra che entra nella testa delle classi dirigenti mondiali ed europee. Il risveglio di associazioni, movimenti, organizzazioni non governative e soprattutto tanti giovani attorno ai temi del disarmo va salutato positivamente. Bisogna interloquirci, ascoltare anche le critiche che vengono indirizzate nei nostri confronti. C’è una nuova generazione che si sta “ripoliticizzando”: chiede una svolta per la giustizia sociale e climatica che la sinistra democratica deve intercettare, pur sapendo che potranno venire avanti posizioni scomode e domande più radicali. Non accettano più un modello di società dove il messaggio è: vali qualcosa se riesci a fare i soldi, altrimenti sei uno sfigato e un fallito. Gli under 35 sono stati quelli che hanno votato di più al referendum sul lavoro. È un dato sul quale va aperta una riflessione, anche perché poi ti spunta a New York un ragazzo di 33 anni, dichiaratamente socialista, che vince le primarie per il sindaco a sorpresa e chiede di ripristinare l’equo canone per calmierare gli affitti che sono arrivati a 5000 euro a stanza. La verità è che c’è un deposito di critica sempre più diffuso verso un modello di capitalismo che rende sempre più inabitabile il pianeta. Il leader dei socialisti belgi ha scritto un testo profetico: La vie large, il manifesto per una politica ecosocialista. Non puoi sottrarre al pianeta terra quello che esso non può autonomamente riprodurre. Significa rimettere al centro la “regola verde” per garantire eguaglianza e diritti per tutti.
A proposito di cerchiobottismo. Alla Camera, la presidente del Consiglio ha criticato Israele per Gaza ma ha ritenuto legittimo l’attacco israelo-americano all’Iran.
La Meloni da “underdog” si è trasformata nel “little dog” di Trump. Tant’è che va negli USA in piena crisi dei dazi e mette le mani avanti dicendo che non toccherà mai la tassazione sulle big tech, nei fatti azzerando il potere negoziale dell’Unione europea. Una scelta che dimostra che risponde più alla Casa Bianca che a Bruxelles. E non dice nulla quando l’opposizione le chiede di non autorizzare le basi NATO per eventuali attacchi americani sul suolo iraniano. Ma l’interesse dell’Italia dovrebbe essere quello di costruire ponti, non di allargare i conflitti mettendosi sulla scia di una politica estera americana che mina alla base qualsiasi forma di multilateralismo. Un paese che scommette sull’unità politica dell’Europa e non sul suo definitivo ripiegamento nazionalista. Non per un fatto ideologico, ma perché ci conviene: da soli non riusciremo mai a pesare davanti ai giganti. Sull’Iran, infatti, lei decide di allinearsi acriticamente, mostrandosi ancora una volta specialista nel promuovere un clamoroso doppio standard. Non ha mosso un dito su Gaza. Continua a negare la sospensione del Trattato Ue-Israele, rompendo persino il fronte europeo, proroga il memorandum militare e soprattutto non riconosce lo Stato di Palestina. Non bastano più gli appelli al cessate il fuoco. Servono a lavarsi la coscienza. Noi chiediamo fatti. E lo chiede soprattutto un’opinione pubblica sconcertata dalla mattanza di Gaza, che invoca giustizia per quei quasi sessantamila morti, una cifra spaventosa ma probabilmente in difetto stando a documentati rapporti internazionali.
Chi è per lei Benjamin Netanyahu?
È qualcosa di più del capo del Governo israeliano. È un riferimento della destra mondiale, persino più forte di Trump. È quello che ha sdoganato i movimenti di estrema destra europei, restituendo loro una patente di affidabilità democratica solo perché difendevano acriticamente l’apartheid israeliana nei confronti dei palestinesi. Perché gli conveniva per mondarsi dei crimini di 80 anni fa. Qui siamo di fronte a un rovesciamento della verità che ci dice quanto ha funzionato in questi anni il soft power della destra israeliana, soprattutto in Europa, e quale sia il sistema di alleanze che ha costruito. Tutte occupate a bombardare le casematte del multilateralismo: Ue, Onu, Corte penale internazionale. Tant’è che Netanyahu invoca il principio della legittima difesa preventiva per destabilizzare l’intero Medio Oriente. Lo stesso principio evocato da Putin per l’invasione criminale dell’Ucraina. Ma questa fattispecie non ha alcun fondamento giuridico, non esiste nel diritto internazionale! Bibi prima o poi dovrà rispondere davanti alla Cpi di quello che ha combinato a Gaza. Non potrà sfuggire al mandato di cattura internazionale, nonostante i tentativi di sabotaggio verso l’Aja. Quel giorno sarà importante per la Comunità internazionale che avrà dimostrato che la legge è uguale per tutti, ma anche per la stessa Israele che potrà fare i conti con questi anni bui, che potrà far emergere quella parte larga di opinione pubblica che ha sempre contestato la prepotenza del capo del Likud, che comprenderà che la pace e la stabilità si ottiene non entrando in guerra con tutti ma garantendo una prospettiva politica ai palestinesi.