di Umberto De Giovannangeli
Arturo Scotto, capogruppo Pd alla commissione Lavoro della Camera e membro della Direzione nazionale del Partito Democratico. Elly Schlein è nel mirino della stampa mainstream ma anche di una parte del gruppo dirigente Dem, per il sostegno ai cinque referendum promossi dalla Cgil. Lei come risponde?
Il Pd è pienamente impegnato per raggiungere il quorum e vincere questa battaglia. La linea indicata da Elly Schlein è stata chiara dall’inizio: vogliamo cambiare le leggi che hanno generato precarietà, sottosalario, insicurezza. Non bisogna mai avere paura di battersi per i diritti delle persone. E noi non ne abbiamo. I referendum sono una occasione enorme. Non sono proprietà di un partito politico, non misurano la distanza di punti percentuali tra progressisti e destra: nascono attorno a fatti concreti che miglioreranno la vita delle persone. Vanno raccontati così. Perché restituiscono diritti là dove sono stati tolti e ne costruiscono di nuovi. Per questo il quorum è una sfida fondamentale: dal giorno dopo l’Italia sarà un paese più libero e solidale. 3 milioni e mezzo di persone avranno il diritto al reintegro, 3 milioni di lavoratori con contratto a termine saranno stabilizzati, si dimezzano gli anni per ottenere la cittadinanza per 2,5 milioni di lavoratori e studenti. Misure concrete, il cui effetto è indiscutibile.
Tra i diritti da riaffermare e difendere, c’è quello della sicurezza nei luoghi di lavoro. Qual è la situazione su questo fronte?
Drammatica. Siamo davanti ai numeri di una guerra che lo stato sta perdendo. 1090 morti, mezzo milione di infortuni, in crescita rispetto al 2023. Nei primi due mesi del 2025 più 18 per cento. La Calderone ha annunciato la patente a crediti un anno fa, ma è soltanto una gigantesca operazione di autocertificazione. Con un’incidenza dei controlli sulle oltre quattrocentomila imprese che vi hanno aderito soltanto dell’1,3 per cento. Sono numeri ridicoli. Ora si ricordano di convocare un tavolo con le parti sociali, dopo due anni e mezzo di silenzi. Facciano una legge che dice che l’impresa committente ha la responsabilità in solido lungo tutta la catena degli appalti. È quello che chiede la Cgil nel referendum ed è una scelta giusta e di buonsenso. Perché non accadano più tragedie come quella di Esselunga a Firenze dove c’erano 34 subappalti nello stesso cantiere e la proprietà ignorava quali fossero le condizioni di chi lavorava per costruire quel supermercato.
Meloni sui salari ha preso una cantonata: sostenere che stanno crescendo dimostra esattamente quanto stia ormai fuori dalla realtà. Esca dalla “comfort zone” di Palazzo Chigi e si vada a fare un giro in un mercato o davanti a un ufficio postale e provi a capire di cosa parlano le persone. Del potere d’acquisto perduto, dell’impossibilità di mettere insieme il pranzo con la cena, delle bollette e degli affitti. È una destra che non guarda mai la società con gli occhi di chi è l’ultimo della fila, ma solo con quelli dei potenti. E vede i conflitti sociali come una minaccia da comprimere o addirittura da mettere in galera: è la filosofia di fondo del decreto sicurezza. Siamo al loro “momento Orban”. La destra ha saputo azzoppare solo le scelte dell’opposizione: sul salario minimo hanno prima allestito una sceneggiata a Palazzo Chigi nell’agosto del 2023, poi usato il Cnel per perdere tempo e poi deciso di sbatterci la porta in faccia anziché dialogare nel merito. Lo hanno cancellato a novembre del 2023 con un emendamentino che trasformava la proposta delle opposizioni del Salario minimo in una delega al Governo sulle “eque retribuzioni”, in qualche modo riconoscendo che il problema esiste. Dopodiché è passato quasi un anno e mezzo e al Senato questa delega non è stata nemmeno discussa in Commissione. Significa che non vogliono fare niente. D’altra parte, il 44 per cento dei contratti sono ancora senza rinnovo. A partire da quello dei metalmeccanici che sono arrivati a 32 ore di sciopero e il Governo non ha la forza di chiamare al tavolo Federmeccanica obbligandola a sedersi. Stessa cosa su quello della sanità e degli enti locali: lì addirittura vogliono riconoscere soltanto un terzo dell’inflazione perduta tra il 2022 e il 2024 come hanno già fatto con le funzioni centrali, spaccando addirittura il sindacato. È lo Stato in qualche modo che programma la riduzione del potere d’acquisto dei suoi dipendenti. Qualcosa di mai visto. Non è accettabile un tale immobilismo.
C’è chi sostiene che su questioni di questa portata il referendum non è lo strumento appropriato e può rivelarsi controproducente.
Lo strumento referendario aiuta finalmente a stare sul merito, a tracciare un bilancio sulle politiche del lavoro di questi trent’anni. Non è un referendum sul Jobs Act – o solo sul Jobs Act – ma un test su cosa significa oggi il valore del lavoro. Se è una variabile dipendente del mercato oppure se può ancora ambire a essere lo strumento attraverso cui si definisce la cittadinanza in una repubblica democratica. È una prova per tutti, anche per un pezzo di capitalismo italiano. Si vuole scommettere sulla qualità del lavoro o continuare a risparmiare su investimenti, sulle tutele, sui salari?
Il Pd è all’altezza di questa sfida?
Ci impegniamo pancia a terra perché il nesso tra bassi salari e precarietà del lavoro è la malattia di questo paese. Va curata. In un trentennio di trasformazioni del mercato del lavoro che ha moltiplicato le tipologie contrattuali sono state lasciate al palo le retribuzioni. Il divario tra Italia e altri paesi europei delle stesse dimensioni e di analoga potenza industriale appare impressionante. L’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse nel quale, dal 1990 al 2020, il salario medio reale è diminuito (-2,9 per cento), mentre in Germania è cresciuto del 33,7 per cento e in Francia del 31,1 per cento. L’ultima decade 2010-2020 è stata quella maggiormente negativa con una caduta del -8,3 per cento. È nei fatti un’emergenza nazionale. Non bisogna essere degli scienziati per capire che il crollo del potere d’acquisto c’entra qualcosa con il fatto che in quegli anni il precariato è esploso – non solo nel settore privato – ed è stato abolito l’articolo 18.
Matteo Renzi dice che il referendum sul Jobs Act è ideologico.
Trovo questa affermazione sbagliata. Ideologico è pensare che la libertà di licenziamento aumenti la possibilità di fare crescere benessere per i lavoratori, domanda di occupazione e maggiore competitività delle imprese. Non c’è nessun manuale che dimostri questo. Introduce solo un’ingiustizia palese: puoi essere licenziato in qualsiasi momento senza giusta causa. La legge del più forte ha indebolito il potere contrattuale dei lavoratori, li ha resi più soli e ricattabili. Le stesse sentenze della Corte costituzionale hanno smontato questa impalcatura: evidentemente quella legge oltre ad essere ingiusta era anche scritta male. Abbiamo l’opportunità di cambiarla con il voto, sprecarla sarebbe inaccettabile. E qui, me lo lasci dire, entra in gioco la responsabilità dei mezzi di comunicazione…
Nel senso?
C’è una congiura del silenzio da parte dei principali mezzi d’informazione in mano alla destra. Che coinvolge persino articolazioni dello Stato: informare è un dovere. E invece qui si punta chiaramente al fallimento e al mancato quorum. Fratelli d’Italia ha mandato una circolare dove addirittura si dice ai deputati e ai senatori di sconsigliare di andare al voto. Tajani teorizza l’astensionismo politico: un neologismo. È un fatto gravissimo. Il principale partito di governo del paese che fa campagna per il non voto. Ancora una volta emerge con forza la loro cultura antidemocratica, che scoraggia la partecipazione alla vita politica del paese. Siamo nell’ottantesimo anniversario della Liberazione: sappiamo che il dono più grande che ci è arrivato dalla Resistenza antifascista è stato il diritto di voto per tutti e per tutte. Quella conquista non è acquisita per sempre, esercitarla significa dimostrare che non è stato vano il prezzo pagato dai nostri padri e dalle nostre madri.
A proposito di una Segretaria nel mirino. Elly Schlein lo è da tempo anche per le sue posizioni contro la pulizia etnica d’Israele a Gaza.
Netanyahu vuole deportare 2 milioni di palestinesi e occupare la Striscia di Gaza per sempre. Bisogna fermare questo disegno criminale. L’Italia e la comunità internazionale dovrebbero lavorare per il cessate il fuoco, far entrare gli aiuti umanitari e soprattutto riconoscere lo Stato di Palestina. E invece si limitano a invitare alla moderazione Israele. Un comportamento vigliacco che fa apparire il cosiddetto Occidente democratico agli occhi di miliardi di persone come complice. Noi abbiamo detto da subito con la segretaria Schlein che occorreva una risposta politica, che serviva una iniziativa internazionale per riprendere il filo della pace. Abbiamo promosso una mozione unitaria con Avs e M5s per chiedere al Governo di uscire da questa scandaloso silenzio. Verrà discussa nella seconda metà di maggio: vediamo cosa risponderà Meloni. Non potrà più fare melina. Nel frattempo, noi continueremo a raccontare cosa sta accadendo in Cisgiordania e a Gaza, la pulizia etnica in corso è una macchia indelebile. Il 16 maggio insieme all’intergruppo parlamentare per la Pace in Medio Oriente e a tantissime Ong andremo al valico di Rafah. Con questa carovana chiederemo la fine della guerra perché la diplomazia dal basso ha un valore altrettanto importante di quella fatta dai governi.