di Ruggiero Montenegro
Le polemiche, lascia intendere, sono un po’ esagerate. “In una situazione complicata come quella italiana non ci sarebbe nulla di strano, anzi. Se si vuole, si può fare. Può essere uno strumento utile per recuperare gettito”. Il professore Vincenzo Visco parla della tassa sugli extraprofitti. Da qualche giorno, con la manovra che incombe e le risorse che scarseggiano, l’idea è tornata a circolare. Al netto delle smentite di rito, il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari – colonnello meloniano a Palazzo Chigi – ci sta pensando. Sonda gli umori, vorrebbe riprovarci, nella speranza che questa volta vada un po’ meglio. “D’altra parte è un’ipotesi che era stata fatta anche negli anni passati. In tempi di pandemia si pensava essenzialmente alle industrie farmaceutiche. Poi hanno tentato con le banche. Ora si parla di allargare anche alle assicurazioni e al settore energetico. Vedremo. Non sarebbe una misura risolutiva, ma in condizioni di ristrettezza economica potrebbe dare una mano”, dice Visco che è stato in Parlamento per oltre 20 anni e soprattutto ex ministro delle Finanze e del Tesoro nei governi Amato, D’Alema e Prodi. Fisco e tasse sono insomma la sua materia. “Ma ho dei dubbi che il governo riesca a realizzare questo tipo di provvedimento. La maggioranza è divisa sulle banche e non solo. Forza Italia la pensa diversamente da Lega e FdI. E poi l’esecutivo ha grandi difficoltà a intervenire sul fisco. Siamo in una situazione economica complicatissima eppure non vogliono affrontare seriamente nemmeno il problema dell’evasione”, prosegue l’ex ministro, che a questa battaglia ha dedicato gran parte del suo operato in via XX Settembre. Tanto che i detrattori – l’epiteto è di Tremonti – l’avevano soprannominato Dracula.
In vista della prossima manovra serviranno tra 15 e 20 miliardi solo per rifinanziare gli sgravi introdotti lo scorso anno. Come faranno? “Cercheranno di recuperare qualcosa con tagli e spending review”. E il concordato fiscale? “Non serve a fare gettito, è una misura per garantire a chi evade di stare tranquillo per qualche anno, pagando un obolo. Non credo che avrà particolare successo”, risponde Visco. “Il governo insiste con questa convinzione provinciale per cui la parte essenziale del paese, da tutelare e difendere, è quella del lavoro autonomo. Il loro elettorato di riferimento”. E invece? “Serve una vera razionalizzazione di questo sistema fiscale balcanizzato, corporativo, in cui c’è una disparità incredibile tra dipendenti e autonomi, a vantaggio di questi ultimi”. Il professore punta il dito contro il regime forfettario, fino a 85 mila euro: “Quasi il 70 per cento degli autonomi, secondo le stime, evade finendo per pagare tasse ridicole rispetto ai reali guadagni. Mentre i dipendenti sono tartassati. Il forfait va bene per i piccoli autonomi, quelli veri. Non per i piccoli presunti”. Cos’è che non funziona? “Gli strumenti per controllare ci sono, con l’intelligenza artificiale non sarebbe difficile individuare gli evasori. Manca la volontà. Oltre a questo abbiamo un problema di investimenti produttivi, di quelli che creano esternalità positive. Sono aspetti su cui siamo in assoluto ritardo, a cominciare dal Pnrr”.
Non tutti i mali comunque, concede Visco, si possono risolvere internamente. Un’altra grande questione riguarda infatti l’elusione fiscale delle grandi aziende in Europa. “Il tema dei paradisi fiscali, di nazioni che giocano a fregare il paese vicino, dovrebbe essere al centro dell’agenda del Parlamento e delle istituzioni europee. E i singoli governi dovrebbero sostenere questa battaglia, anziché inseguire la via del nazionalismo economico e dell’autarchia. Ci sono in ballo una montagna di soldi. Ma è anche una questione di fondo da cui dipende il futuro dell’Ue”.
A proposito, che ne pensa Visco del nuovo Patto di stabilità? “È un accordo che non sta in piedi, è tutto una contraddizione. Mentre da un lato abbiamo i rapporti stilati da Letta e Draghi che invitano a fare debito, investimenti comuni e ad ampliare il mercato dei capitali, si restringono i vincoli di bilancio”. Lei non l’avrebbe votato? “Bisognava far passare la proposta di Gentiloni, che differenziava le condizioni tra paesi e dava più flessibilità a tutto il sistema. Non era il massimo però era una buona cosa. Il nostro governo non ha fatto le alleanze che doveva fare, così alla fine è passata la linea autolesionistica della Germania”. Torniamo in Italia. Ha sentito le voci sull’avvicendamento tra Biagio Mazzotta e Daria Perrotta alla Ragioneria di stato? Sarebbe legittimo da parte di Giorgetti? “Certo, la scelta spetta al ministro e al governo. È del tutto improprio invece che un funzionario, per quanto di alta qualifica, passi da una struttura che collabora direttamente con il ministero a una funzione che dovrebbe essere terza. Questo è disdicevole e, al di là del valore di Perrotta, rischia di metterne in dubbio la credibilità ancor prima della nomina”.