Colloquio con Il Corriere della Sera
di Roberto Gressi
Questa mattina l’Europa si è svegliata con il Regno Unito che ha cambiato verso. Basta con i Conservatori, dopo 14 anni. Keir Starmer è la nuova guida della Gran Bretagna, ma per arrivarci ha anche cambiato segno al suo partito. Addio alla stagione estremista di sinistra di Jeremy Corbyn. Un programma concreto: lavoro, economia, ambiente, diritti umani, niente marce indietro sulla Brexit ma più dialogo con la Ue. Tutto questo con il Fronte repubblicano che in Francia cerca di mitigare il tornado Le Pen, ma già sa che tra Macron e Mélenchon c’è un abisso. E con Donald Trump che pare avviato alla conquista della presidenza. Ma intanto c’è il segnale che viene da Londra. È una lezione per la sinistra e, più in generale, per l’opposizione italiana?
Pier Luigi Bersani, anche per l’età, non ha la tentazione di fare il grande vecchio, né, tantomeno, ha la vocazione del pensionato. Lo spazio che si è ritagliato è quello di chi dà una mano, senza strafare e senza tirarsi indietro. E vede nel voto britannico un segnale di risveglio, non l’unico. Pedro Sánchez in Spagna ha resistito alla spallata della destra. In Francia a fronte dell’avanzata di Marine Le Pen, c’è una reazione con una sinistra che riprende fiato, il che per lui non vuol dire sposare Jean-Luc Mélenchon, né non vedere che Parigi ne ha di gatte da pelare. Preoccupa in prospettiva la Germania, con la ripresa della destra. In Italia germi evidenti di rinascita.«Insomma, tra tanti guai si vede anche qualche spiraglio. Come disse Winston Churchill dopo El Alamein “non è l’inizio della fine, ma la fine dell’inizio, e molto resta ancora da fare”».
Un richiamo all’unità, va bene, ma per la sinistra il centro non è la questione? Beppe Sala e Pier Ferdinando Casini dicono che senza non si vince. Bersani non dice di no, ma a condizione di intendersi. «Serve una grande forza liberale e democratica, ma se torniamo all’idea di un centro che dirige il traffico allora no, non ci siamo. Essere liberali non vuol dire essere moderati ed essere accomodanti con le élite». Per Bersani la destra cresce nutrendosi del risentimento di un’umanità insoddisfatta e ferita che vuole risposte. Bisogna mettere soldi in tasca alla gente con salari dignitosi, dargli una sanità che funzioni, garantire l’uguaglianza e la libertà, i diritti civili e sociali. «La Costituzione non è un orpello, lì c’è la sostanza della liberazione e dell’emancipazione».
Ma insomma, per rubare una metafora proprio a Bersani, qual è la mucca in corridoio della sinistra e dell’opposizione? Che cosa blocca un’alternativa credibile? Per lui l’illusione di marciare divisi per poi semmai colpire uniti è una ciclopica fesseria, perché poi ti guardi indietro e non trovi nessuno. «Siamo stati ciechi e sordi, poi eccolo, l’arrivo della mucca-destra. E allora poi ancora lì a chiedersi: che mucca sarà? Vorrà accordarsi? Macché, manco un po’». Bersani non ci crede, guardando a Londra, alle soluzioni fotocopia. Perché le ha già viste quelle discussioni. Blair e la terza via, Jospin, Clinton. «Poi è nata un’idea, un progetto, la voglia di unirsi, è arrivato Prodi e ciao, l’Ulivo è decollato. Serve un atto di volontà politica, poi il federatore, o la federatrice, arrivano».
E il rischio dell’armata Brancaleone? I centomila partitini? I tempi del governo appeso alle crisi di coscienza di Turigliatto, o del senatore Pallaro, eletto all’estero e incerto tra tornare per votare oppure grigliarsi una bistecca nelle Pampas? Per Bersani quello non era l’Ulivo, ma la decadenza dell’Unione. Servono tre condizioni oggi per cominciare, sostiene. Uno: volerlo. Due: partire dalle cose che uniscono. Tre: mediare sulle cose che dividono. E poi non puntare solo sui partiti, ma sulla società civile, che dorme meno di quanto appaia.
Va da sé che poi la prima sfida sarebbe su autonomia differenziata e premierato. «Non per unirci solo sui no, ma proprio per affermare un’idea di democrazia e per costruire un clima di consapevolezza». Perché poi pure Meloni deve farsi due conti, perché il referendum sul premierato non ha bisogno di quorum e il rischio è massimo, mentre l’Autonomia di marca leghista invece sì, e può puntare sull’astensione. L’Italia arlecchino che ne verrebbe fuori, con tutte le materie che Zaia vuole devolute, per esempio il commercio estero, sarebbe un danno enorme per il Nord, mica solo per il Sud, dice Bersani.
Insomma, alla fine, lunga marcia, scarpe rotte e pur bisogna andar, che la strada è sempre in salita. «Ma intanto cominciamo da chi ci sta».