di don Mattia Ferrari
La resistenza dell’umanità. Sono queste forse le parole più appropriate per descrivere la ripartenza della missione in mare di Mediterranea Saving Humans. Pochi giorni fa l’Organizzazione internazionale per le migrazioni ha reso noti i dati di naufragi e respingimenti di questo 2024: dal 1° gennaio al 17 agosto, più di 1.000 persone hanno perso la vita in mare, a causa dell’assenza di soccorso, e più di 13.000 persone sono state catturate e riportate in Libia, in virtù degli accordi Italia-Libia. È il quadro che si è delineato a causa del progressivo ritiro delle missioni di soccorso degli Stati europei e poi degli accordi Italia-Libia, con cui l’Italia e l’Europa finanziano questi respingimenti. Da circa un anno si sono aggiunti i respingimenti in Tunisia, anch’essi finanziati dall’Italia e dall’Europa, eoperati dalla Garde Nationale, che spesso si concludono con la deportazione nel deserto. Il cinismo delle decisioni politiche si salda con l’indifferenza di larga parte della popolazione e questo crea quella strage incessante che segna una delle vergogne più grandi della nostra storia.
Succede però che anche nelle ore più buie del la storia ci sono luci che resistono e che forzano l’aurora a nascere. Una di queste luci è la flotta civile, composta da persone di tutta Europa che si uniscono per andare insieme a salvare le persone migranti. Mediterranea Saving Humans, la piattaforma della società civile, sta tornando in mare: è imminente la partenza dal porto di Trapani. Questa missione, la numero 18, presenta una novità significativa: accanto alla nostra nave, la Mare Jonio, viaggerà una barca a vela di appoggio allestita insieme a Migrantes, l’organismo pastorale della Conferenza Episcopale Italiana che si occupa delle migrazioni. La barca a vela ha lo scopo di monitorare e informare su ciò che avviene e a bordo ci sono don Alessandro Messina e Donatella D’Anna, direttori diocesani di Migrantes rispettivamente a Fano e a Caltanissetta. Alla vigilia della partenza inoltre c’è stata la visita a bordo del vescovo di Trapani. Si tratta di un’altra tappa nel cammino di Mediterranea con la Chiesa, un cammino fatto di relazioni di condivisione e fraternità con vescovi, religiosi e religiose, fedeli laici e laiche in tante città. Papa Francesco ha più volte espresso pubblicamente il suo ringraziamento a Mediterranea e a tutte le realtà che svolgono questa missione. Chi si domanda perché la Chiesa partecipi alla missione di Mediterranea trova facilmente risposta nel Vangelo. La Chiesa ha la missione di seguire di Gesù, di amare come Lui ama, di annunciare il Vangelo e di viverlo, prendendosi per mano con tutte le persone di buona volontà. E nel comune amore viscerale, per usare le parole del Vangelo, che Mediterranea e la Chiesa si sono incontrate, e nel comune riconoscimento dell’inalienabile valore della dignità di ogni persona e della fraternità.
Oltre alla Chiesa, sono tante le realtà presenti nell’equipaggio di Mediterranea, composto da 25 persone: marinai siciliani e attivisti e attiviste di varie associazioni e movimenti. Capimissione sono Beppe Caccia, veneziano, volto storico del movimenti sociali, già ricercatore universitario, assessore alle politiche sociali a Venezia e tra i fondatori di Mediterranea, e Denny Castiglione, anch’egli storico esponente dei movimenti e di Mediterranea. La medica di bordo, Vanessa Guidi, è un’attivista romagnola da anni a Bologna, e insieme a lei ci sono Charlotte Giampietro, infermiera, e Ambra Falasco, ostetrica. A bordo c’è Dariush Beigui, che era capitano della luventa, la prima nave del soccorso civile a subire un’indagine giudiziaria, iniziata nel 2017 e conclusasi alcuni mesi fa con la caduta di tutte le accuse. Quel processo segnò l’inizio della criminalizzazione della solidarietà: in una società come la nostra la solidarietà è sovversiva e criminalizzarla serve a evitare che le persone ne restino affascinate e si liberino dalle catene dell’individualismo. Con noi c’è poi lasonas Apostolopoulos, il coordinatore del rescue team, attivo da anni nella lotta ai respingimenti tra Grecia e Turchia e nel soccorso civile nel Mediterraneo centrale. Il più giovane membro dell’equipaggio, Gabriele Lodetti, 20 anni, è uno studente universitario e attivista romano, dei sindacati studenteschi, la Rete degli studenti medi negli anni del liceo e ora Sinistra Universitaria Sapienza, e di Spin Time, il grande palazzo romano occupato, anch’esso noto per la sua relazione con la Chiesa, dove abitano 400 persone di 28 nazionalità diverse e dove operano 600 tra volontari e attivisti. Nell’equipaggio c’è anche Ibrahima Lo, originario del Senegal, arrivato attraverso la rotta della Libia e del Mediterraneo, dove è stato soccorso da Iasonas con la nave Acquarius nel 2017, e ora attivista e soccorritore, nonché autore di diversi libri. Lo scorso 2 luglio ha incontrato papa Francesco, insieme ad altri migranti accompagnati come in altre occasioni da Mediterranea: il Papa ha toccato e accarezzato le ferite che ha riportato nei lager libici e ha incoraggiato tutti a continuare sulla strada della fraternità.
Insomma, in missione con Mediterranea c’è tutta la società civile che lotta su vari fronti e non si rassegna alla disumanità. Tutte queste persone e realtà sociali si uniscono in nome del comune amore viscerale e vanno insieme a soccorrere i nostr fratelli e sorelle migranti, rompendo il muro di cinismo e indifferenza, pronte a obbedire alle norme dell’umanità e alle leggi internazionali e a disobbedire agli ordini ingiusti. La missione di Mediterranea si configura quindi come vera resistenza dell’umanità e come costruzione della fraternità, che si fa carne nei corpi e nelle relazioni di Mediterranea e di tante altre realtà. Questa è una luce che risplende nella notte della storia.