di Niccolò Carratelli
«I fascisti davanti alla stazione di Bologna? Una roba da brividi». Pierluigi Bersani sta recuperando il cappotto nell’atrio della Sala della Protomoteca in Campidoglio, dove ha partecipato a un dibattito del convegno organizzato per i 60 anni di Magistratura democratica, corrente progressista delle toghe. Ma ha ancora negli occhi le immagini di sabato nel capoluogo emiliano: «Sarà che sono segnato dal fatto di essere arrivato lì il mattino della strage, ma è inaccettabile vedere emblemi fascisti, sentire slogan e canzoni fasciste a pochi passi dalla stazione», spiega a La Stampa, mentre si avvia all’uscita inforcando subito l’immancabile sigaro. «Dopodiché, io dico sempre che la violenza distrugge ogni buona ragione, quando la fai e quando te la fanno. Bisogna sempre cercare di evitarla, ma certamente è stata una provocazione molto grave per una città che ha vissuto quel che ha vissuto – aggiunge-. Quindi, non guardiamo tanto agli antagonisti, guardiamo quelli che hanno reagito affacciandosi alle finestre, sentiamo cosa pensa quella gente di Bologna, cerchiamo di non ferirla in un sentimento profondissimo». Ma guardare agli antagonisti può essere politicamente più conveniente. «Così possono gridare ai comunisti violenti e alimentare un certo racconto. D’altronde, lo vediamo nelle norme che stanno facendo, come in questo decreto sicurezza – dice Bersani -. Ricordo che, mettendo a reato i blocchi stradali, gli operai della Whirlpool, che a Napoli hanno salvato una fabbrica dopo una battaglia di tre anni, li avremmo chiusi in galera e la fabbrica non ci sarebbe più».
Proprio oggi, 48 ore dopo gli scontri di sabato, Meloni e Salvini saranno a Bologna per la campagna elettorale per le Regionali: «Lì non basta vincere, bisogna vincere bene – avverte l’ex segretario Pd, emiliano doc – dare un segnale forte che da noi non si scherza e non si molla». Sempre oggi Bersani sarà, invece, in Umbria, per due eventi elettorali a Umbertide e a Perugia, ben sapendo che è quella la partita decisiva di questa tornata di Regionali: «Andrò a dire che domenica e lunedì è ora di far suonare le nostre campane, poche o tante che siano. Saranno tante». Sulle scale lo ferma un sindacalista della Cgil: «Sa, io stimo solo lei e Landini. Ci facciamo una foto?». Bersani si mette in posa sorridente, poi torna serio pensando al segretario della Cgil: «La destra attacca i sindacati che protestano contro la manovra e cerca di arruolare i sindacati “buoni”, mettendo nel circuito del potere esecutivo tutte le forze che riesce a raccogliere, vale anche per i magistrati ovviamente». Altra pausa, arriva un ragazzo, forse nemmeno ventenne, che vuole un «autografo», dice proprio così. Bersani non fa una piega e firma, con un’espressione a metà tra compiacimento e autoironia. Dicevamo, i magistrati. «Sì, a loro piacciono i cosiddetti magistrati apolitici – precisa -. L’apoliticità significa mettersi a disposizione del potere. Del resto, Meloni lo ha detto esplicitamente: “Dovete dare una mano”, questa è l’idea che hanno».
Ma il ragionamento è più articolato, anche perché il fenomeno non è solo italiano. «È un percorso che, a grandi o piccoli passi, le destre stanno facendo in tutto il mondo – dice l’ex ministro -. Tutti i poteri, a partire da quelli costituzionali, legislativo e giudiziario, poi il potere dei sindacati e dei corpi intermedi, fino a quello della stampa, devono slittare verso il potere dell’esecutivo, preferibilmente plebiscitato. È una cosa che sta avvenendo e nemmeno sottotraccia. Quindi, non c’è da stupirsi, c’è solo da opporsi». Come i magistrati si stanno opponendo alle riforme impostate dal governo e al tentativo di delegittimare i giudici. Qui Bersani, ormai arrivato in fondo alla scalinata del Campidoglio, sfodera la classica smorfia sorniona di quando sta per fare una battuta: «Quando penso a Salvini nemmeno io ho più abbastanza allegorie…». Poi riprende il filo del discorso, sottolineando che «questi devono capire che la magistratura non è mica una lobby come quella dei farmacisti eh, è un potere previsto nella Costituzione. La stessa Costituzione che dice che la sovranità appartiene al popolo, vogliamo dar via anche questo? – domanda alzando la voce -. Benissimo, abbiamo in vista un po’ di referendum e, siccome la sovranità appartiene al popolo, vedremo come va».