di Michele Bocci
Roberto Speranza è stato il ministro alla Salute dei governi Conte e Draghi, quando il mondo è stato sconvolto dalla pandemia provocata dal coronavirus. Già segretario di Articolo Uno, oggi è deputato e dal giugno dell’anno scorso è rientrato nel Pd.
Che impatto avrà l’autonomia differenziata sul sistema sanitario nazionale?
«Può essere il colpo di grazia definitivo al servizio sanitario e all’idea di universalità su cui è stato fondato. Nel nostro Paese già oggi ci sono diseguaglianze tra territori. Bisognerebbe ridurre le distanze e invece la riforma della maggioranza le aggrava in modo drammatico. Se il gettito fiscale resta nel territorio, il divario tra Regioni forti e deboli aumenterà e crescerà anche la migrazione sanitaria dei pazienti. E lo stesso problema ci sarà anche per il personale sanitario, che verrà attratto nelle regioni più solide e lascerà le altre».
I problemi di diseguaglianza tra le Regioni sono molto antichi, voi cosa avete fatto per risolverli quando eravate al governo?
«Io ho lavorato per portare molte più risorse al servizio sanitario nazionale e in modo particolare alle Regioni più deboli. Durante il mio mandato, per la prima volta è stato approvato il Pon salute, dedicato al Sud. Si tratta di un piano per ridurre le diseguaglianze, finanziato dall’Europa con oltre 600 milioni. Fino a quel momento, i Pon in Italia erano stati attivati in altri ambiti, mai nella sanità. Sono arrivati soldi per screening oncologici, consultori, assistenza alla salute mentale e lotta alla povertà sanitaria nel meridione».
Se l’Autonomia differenziata non va bene, di che riforma avrebbe bisogno il sistema sanitario?
«Intanto va superato il tetto di spesa per il personale, va cambiato il modello di programmazione della spesa sanitaria e bisogna continuare la riforma del territorio che ho avviato. Il modello regionale della sanità in Italia è già piuttosto spinto, forzarlo ulteriormente fa uscire dall’ambito dell’autonomia e porta a un passo della secessione, parola che, del resto, usava limpidamente la Lega di Bossi negli anni Novanta. L’autonomia può anche essere virtuosa, qui invece si va alla rottura dell’unità nazionale».
La bozza del nuovo piano pandemico presentata dal ministero alla Salute contiene tutte le misure adottate ai tempi del Covid. Che ne pensa?
«Non mi sorprende, è naturale che sia così. I piani pandemici li scrivono gli scienziati, non i politici o i partiti. Le evidenze sono rimaste le stesse in questi anni. Che i vaccini servano non lo dico io, ma la comunità scientifica internazionale. Che le mascherine siano utili in certe situazioni, così come le misure di distanziamento, lo dice sempre quella comunità. Sorprende che qualcuno si sorprenda di questo».
Il ministro alla Salute Orazio Schillaci, comunque, in Parlamento ha annunciato modifiche al piano.
«Lui è un uomo di scienza, sono convinto che non si farà spaventare da qualche pulsione No Vax e antiscientifica che vive in alcuni pezzi della sua maggioranza».
Lei ha pubblicato adesso il suo libro sulla sanità “Perché guariremo”, che il martedì prossimo presenterà alla Camera con Schlein e Conte. Perché durante la pandemia lo fece ritirare?
«Lo avevo scritto nell’estate 2020 tra la prima e la seconda ondata. Poi in autunno con la ripresa dei casi non c’era lo spazio per quel dibattito sull’importanza della sanità pubblica che era e resta l’obiettivo del libro. Durante la pandemia avevamo detto “mai più”: mai più tagli, disinvestimenti, sanità cenerentola. E invece a quattro anni dai giorni più duri sembra che la lezione venga cancellata. Quando sono stato ministro ho portato il rapporto tra spesa sanitaria e Pil sopra il 7%, addirittura al 7,4. Ora siamo al 6,5% circa e rischiamo di andare dall’anno prossimo sotto i dati degli anni precedenti al Covid. Quando mi hanno nominato, nel 2019, la spesa sanitaria pro capite era di 2.629 dollari a persona e nel 2022 è salita a 3.255 dollari. In tre anni non era mai avvenuto un salto del genere. Non è successo perché ero più bravo degli altri, ma perché la storia ci era entrata in casa e aveva cambiato le gerarchie. Ma passata l’emergenza si è drammaticamente chiusa la stagione investimenti e siamo tornati a tagli e disinvestimenti. Questo è inaccettabile».
Il dibattito sul tema del fine vita sta agitando anche il Pd. Come ne uscirete?
«Bisogna ripartire dal testo approvato alla Camera. È di buon senso e fa tesoro della sentenza della Corte Costituzionale. Il vuoto legislativo è grave e va colmato. Mi impegnerò su questo terreno».