Intervista al Mattino
di Dario De Martino
Mattinata napoletana per l’ex ministro e segretario del Pd Pierluigi Bersani che ha partecipato alla presentazione del libro di Stefano Fassina “Perché l’autonomia differenziata fa male anche al Nord” all’Archivio di Stato.
Sull’autonomia differenziata c’è stato un intervento della Corte Costituzionale che ne ha modificato pezzi importanti. C’è bisogno ancora di una mobilitazione?
«La Consulta ha mandato giù un pezzo importante della riforma. Ma c’è ancora la possibilità di dover battagliare per il referendum. E come viene fuori brillantemente dal libro di Fassina, c’è un problema principale: al nord non bisogna fare i pesci in barile. Il pensiero di qualcuno nel settentrione può essere: l’autonomia penalizza il Sud e quindi magari il Nord ci guadagna qualcosa. Ma è un’idea assolutamente infondata. Anzi, ridicola. Da un Paese arlecchino nessuno ha da guadagnarci. Bisogna alzare la voce su questo tema. E se ci sarà il referendum questo sarà il nostro compito. Le classi dirigenti al Nord dovranno smettere di tacere e pronunciarsi su una scelta che può essere distruttiva per il Paese».
In molti ricordano che l’autonomia differenziata ha come radice la riforma del titolo quinto. Si sente un po’ responsabile?
«Io non ho mai parlato di federalismo ma di nuovo regionalismo. La riforma del titolo quinto ha dei difetti. A partire dalla pretesa di scrivere in Costituzione le materie di competenza regionale e nazionale. Io all’epoca ero per una maggiore flessibilità. Scrivere l’essenziale, fissare un principio forte di sussidiarietà, affidare a leggi quadro il chi fa cosa, meglio ancora con una camera specializzata a occuparsi di queste leggi. Ma al di là dei difetti del nuovo titolo quinto, attribuire a quella riforma la paternità di questa autonomia differenziata è una stupidaggine. Il titolo quinto prevede la riserva statale sui principi della devoluzione e questa non è stata esercitata».
Intanto in Campania, ma non solo, tiene banco il tema del terzo mandato. Quale la sua posizione sul tema?
«A prescindere dalle idee di ciascuno, non facciamoci “portare in giro”. Questi che comandano adesso non lo daranno mai il terzo mandato. Non perdiamo tempo. Ragioniamo, troviamo un’intesa e non facciamoci infilare. È un elemento di realismo».
Lei conosce De Luca, cosa gli consiglierebbe?
«Io gli voglio bene. Per lui ho sempre avuto amicizia e stima. Gli direi di prendere atto ragionevolmente della situazione. Ma anche il resto del mondo del Pd deve fare lo stesso, riconoscendo la forza, la popolarità e i risultati portati a casa da De Luca. E su queste basi bisogna arrivare a intendersi. Il compromesso è una cosa nobile quando c’è di fronte una battaglia più grande. Finché c’è un giorno disponibile bisogna lavorare per questo».
Proseguendo su questa strada, De Luca rischia di mettersi fuori dal partito?
«Per me sarebbe un grande dispiacere, anche personale».