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Bersani: caos treni, Salvini impari il suo lavoro. Basta demagogia

Giovanna Vitale - la Repubblica
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Mario Rossi - La Repubblica

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Intervista a la Repubblica

di Giovanna Vitale

Salvini? «Prenda un treno che lo porti al Viminale… se lo trova». Pierluigi Bersani, più volte ministro ed ex segretario del Pd, si rifugia in una battuta — l’unica della lunga chiacchierata sulle difficoltà del Paese e le inefficienze del governo Meloni — per raccontare “il disastro” in cui versa la rete ferroviaria.

Cosa direbbe al ministro dei Trasporti se l’incrociasse per strada?

«Caro Salvini, io posso perfino credere che esista una questione di investimenti e di cantieri che possono creare disagi. Ma allora sei mesi prima ti metti intorno a un tavolo con i sindacati e le aziende e prendi delle contromisure. Devi piazzare il sedere sulla sedia perché un esito del genere non è accettabile. L’informativa di Trenitalia sembrava quella di un Paese in guerra: “Non mettetevi in viaggio”. In questi due anni e mezzo è stato di una irresponsabilità totale».

Lei ci è passato?

«Io prendo almeno tre treni a settimana e la puntualità è un’eccezione. Ma la vergogna delle ferrovie è solo un capitolo del libro. Salvini è soltanto uno della compagnia: l’incapacità di affrontare il tema della quotidianità, della vita comune della gente, è un tratto fondamentale di questo governo. Siamo tutti spettatori di un circo in cui guardiamo le acrobazie dell’equilibrista Meloni, mangiamo pane, diversivi e propaganda, ma non si vede nessuno che si preoccupi delle persone, dei loro problemi. Se la democrazia non consegna la merce nella vita reale, non c’è da stupirsi se poi tanti si disamorano».

A destra dicono: siamo arrivati e abbiamo trovato un disastro.

«Questi negano la realtà, quando sbuca un problema, come sui treni, la risposta classica è: l’eredità. E allora bisogna fargli una domanda, ho fatto anch’io il ministro dei Trasporti: qualcuno ricorda una tale mole di cancellazioni e ritardi negli ultimi 15 o 20 anni? Ha mai visto medici e infermieri scappare dagli ospedali? Gli italiani hanno mai pagato 4 miliardi di tasca loro per curarsi? Per non parlare delle bollette».

Su cui la premier in conferenza stampa non ha risposto. Perché?

«E cosa doveva dire? Tutti quanti invocano l’Europa, chiedono che organizzi un acquisto collettivo di energia per riuscire a fare massa critica e tenere bassi i prezzi, ma noi in Italia un meccanismo così ce l’avevamo, l’acquirente unico, e loro l’hanno smontato. E potrei fare mille altri esempi».

Cominci.

«Viviamo una crisi industriale senza precedenti: da due anni abbiamo il segno meno, oggi Confindustria lo conferma. Meloni si vanta d’aver abbassato l’Ires, che vale appena 400 milioni e interessa lo 0,4% delle imprese, ma contemporaneamente ha tolto l’Ace, ossia gli incentivi alla crescita; ridotto le garanzie per gli investimenti delle pmi e la decontribuzione al Sud. Parlano di separazione delle carriere senza accorgersi che per una udienza bisogna aspettare come si aspetta una Tac e abbiamo una giustizia con tonnellate di carta, mentre il famoso processo telematico va a ramengo. E sul lavoro…».

Alt, la premier rivendica di aver creato un milione di posti.

«Sbandierano statistiche senza dire che gli inattivi galoppano, i giovani sono allo sbando e abbiamo 4,2 milioni di part-time, di cui il 56% è involontario, cioè vorrebbero un lavoro normale ma sono costretti ad accettare quel che gli offrono. Moltissimi sono a tempo indeterminato: è questo che falsa i numeri. Secondo l’Istat il Pil cresce dello 0,5% e l’occupazione sale del 2. Ma tale differenza è indice di un lavoro sottopagato, precario, dequalificato, che segnala una caduta di produttività e incoraggia le imprese non a investire, ma a prendere manodopera pur che sia, tanto costa poco. Sono meccanismi che se protratti portano in serie B».

Non la stupisce che un’underdog come Meloni parli più di Musk che di chi in Italia non arriva a fine mese?

«Affatto. L’ultradestra ha sempre fatto ‘sto mestiere qui: stare con i poteri forti e arruolare il popolo con la demagogia. Il governo ha mai toccato le assicurazioni, gli istituti di credito, le grandi società di servizi? Io ho fatto portabilità dei mutui che le banche urlavano. Lei si è fatta fare un prestito. Poi però riesce a catturare il popolo su temi come l’immigrazione, mettendo i poveri contro i poverissimi. Per confermare lo sgravio contributivo i soldi li ha presi dal fondo povertà».

E allora perché il suo consenso cresce?

«Non si vede sull’altro lato un carro su cui caricare l’esigenza di un ricambio credibile. È da quel dì che destra e sinistra sono fifty e fifty. Perciò ora è urgente che tutte le opposizioni si uniscano per creare gesti politici in grado di trasformarsi in un progetto alternativo».

In pratica, come si fa?

«Siccome questi raccontano favole, per costruire una piattaforma comune suggerirei una rivincita della realtà: sanità, lavoro, industria diritti, casa, povertà. Molte delle loro operazioni di distrazione di massa sono finalizzate a coprire l’unico vero cambiamento che il governo sta facendo: destrutturare il sistema fiscale, che è l’anticamera della privatizzazione del welfare».

Addirittura?

«Ma scusi, a un fisco per categorie o ad personam — abbiamo decine di aliquote, di flat tax e cedolari secche, con l’Irpef confinata a dipendenti e pensionati — può corrispondere un welfare universalistico? La risposta è no. A parità di reddito e di tassazione corrisponde una sanità per tutti. A un reddito diversificato corrispondono le mutue. E stiamo andando lì. Meloni nega di aver diminuito i soldi sulla sanità solo perché l’obiettivo è privatizzarla per via assicurativa».

Ma se così è perché non si riesce a costruire un’alternativa stabile?

«Prima c’era chi non vedeva la mucca nel corridoio, poi non si è capito che mucca fosse e adesso non si comprende quanti danni possa fare. Non si avverte l’urgenza di mostrare al Paese che c’è qualcosa di solido in grado di invertire la tendenza. Chi l’ha inteso mi pare sia Schlein, non so se tutto il Pd. E non nascondo che se l’ovvia autonomia del M5S diventasse una linea autonomistica sarebbe un rischio perché così arriva solo divisione».

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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