di Francesca Schianchi
«Questa destra non ha uno straccio di idea. E, cosa ancora peggiore, non nomina nemmeno i problemi: li nasconde dietro alla propaganda e alle bandierine ideologiche». Nel giorno di approvazione di una manovra che Giorgia Meloni considera «di grande equilibrio», l’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani disegna un quadro a tinte fosche della situazione del Paese. E, per il 2025, chiede anche all’opposizione un cambio di passo: «Manca la consapevolezza di un percorso necessario».
Partiamo dalla manovra, Bersani. Perché non le piace?
«Come quella dell’anno scorso, si limita ad aggiustare le virgole di una politica senza idee. Anzi, una c’è, ma è sbagliata: la disarticolazione del sistema fiscale».
Cosa intende?
«Stanno distruggendo l’universalismo fiscale a suon di forfait, cedolari secche, pezzi di flat tax. Ma questa è la via maestra per la privatizzazione del welfare. Hanno tolto anche il mercato tutelato elettrico, così chi non ce la fa vedrà di nuovo le bollette lievitare. Meloni riunisca Caritas, patronati sindacali, sportelli sociali comunali, e ne parli con loro. Non voglio riportarla ai freddi numeri, ai 5 milioni di poveri certificati in Italia, ma si rende conto di costa sta succedendo?».
La premier veramente dice che il Paese è tornato a correre.
«Ma se stiamo assistendo a un processo di dequalificazione del lavoro e dell’impresa che rischia di portarci in serie B! Non dico che sia tutta colpa loro, ma devono vedere il problema e provare a risolverlo».
Dal Pil all’occupazione, sottolinea Meloni, i dati sono positivi e incoraggianti.
«Guardiamoli allora questi dati. Il Pil a fine anno sarà del +0,5 o +0,6 per cento, l’occupazione dovrebbe andare al +2. Quando c’è uno scarto tra crescita e stato dell’occupazione, significa una cosa: che stai sottopagando e precarizzando il lavoro e riducendo la produttività. E non hanno idea di come uscirne: le faccio un esempio».
Dica.
«Due anni interi di riduzione della produzione industriale. Sulla crisi dell’auto, si stanno baloccando tra rinvii, dazi e colpe all’Europa: come fermare l’acqua con le mani. Intanto, in Cina già più del 50 per cento delle auto viaggia in elettrico. Ma io dico: non sarebbe il caso di chiedere alla Ue che faccia un accordo con le case automobilistiche per creare una piattaforma europea di piccole auto elettriche a buon mercato?».
Ci sono temi però su cui la premier pensa di essere in sintonia con l’opinione pubblica: sui centri in Albania per migranti insiste e giura che funzioneranno.
«Con i centri in Albania non convincerà una persona in più. Perché non c’entrano niente coi problemi veri delle persone. Quando il 47 per cento degli elettori non va a votare, non ricomincerà a farlo perché ci sono i centri in Albania».
Vede un problema di tensioni nella maggioranza?
«All’emergere dei problemi emergono le tensioni. Ma cosa c’è da aspettarsi? Il boccino è sempre nelle mani della Meloni, proverà a rilanciare».
Salvini che aspira al Viminale può diventare un problema?
«Salvini deve farsene una ragione: chi ama i sapori forti preferisce Vannacci. Chi non li ama, trova già troppo Piantedosi».
Lei critica aspramente la maggioranza, ma tutti i sondaggi continuano a dare alta la fiducia nel governo Meloni.
«Perché la campanella della sfiducia suona per tutti: governo e opposizione. E l’opposizione sì denuncia gli errori, fa qualche proposta, ma c’è consapevolezza della gravità della fase? La gente vede una navigazione in ordine sparso che non suscita speranza di cambiamento».
Sta bacchettando l’opposizione?
«Sto dicendo che manca ancora un gesto politico unitario che dia credibilità alle proposte che si enunciano. Giusto parlare di sanità, scuola, salari: ma non si vede ancora il carro su cui caricare queste proposte».
Elly Schlein dice: abbiamo davanti quasi un anno senza elezioni. È il momento giusto di agire.
«Lo era già il 2024, a dire il vero. Mentre denunciamo i disastri della maggioranza, dobbiamo dare una risposta all’altezza. Altrimenti rischiamo un altro anno a pane e propaganda. E uno scollamento dei cittadini dalla politica dove anche il tema democratico finisce nell’indifferenza».
Dal M5S però non sembrano convinti di procedere oggi con una linea unitaria.
«Nel M5S, uscito dalla sua vicenda interna, si sbandiera un tema autonomistico su cui dobbiamo capirci. Un conto è l’ovvia autonomia di ciascuno, un altro conto è una linea autonomistica che porta all’eterno conflitto dei polli di Renzo. È ora di una politica coraggiosa e di un lavoro tutti assieme».
In questo senso sono una buona notizia i movimenti che si registrano al centro?
«Potrebbero esserlo, purché si vada nella strada giusta. La parola centro lasciamola alla geometria, perché in politica non esiste. Quello che serve nel nostro menu è un’area liberal-democratica, che non prenda una piega tipo partito dei cattolici».
Perché?
«L’ubi consistam del Pd è l’incontro fra umanesimi laici, di sinistra, e cattolici. Oggi sarebbe giusto fare un punto perché le diverse culture di quel partito rinvigoriscano la loro proposta comune davanti all’affacciarsi di temi nuovi, ma tornare a una separazione tra cattolici e, come vogliamo chiamarli, laici, vorrebbe dire che per anni abbiamo scherzato».
Bersani, un’ultima domanda. Nel giorno del suo proscioglimento dal caso Open, Renzi l’ha tirata in ballo: non ha niente da dire, ha dichiarato, dopo aver messo in dubbio la nostra moralità?
«Io ho sempre parlato dal punto di vista politico. E, in astratto, ho sempre trovato inaccettabile che un segretario promuova la sua fondazione piuttosto che il partito. Sarò troppo classico io, ma la vedo così».