Pubblicato su La Stampa
di don Mattia Ferrari
«Io ho ancora un sogno. Ho il sogno che un giorno gli uomini si alzeranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli»: così proclamava nel 1963 Martin Luther King, al termine di una grande manifestazione per i diritti civili. Questo sogno continua oggi nella lotta di tante persone che ancora subiscono violenza e discriminazione. Una forma particolare di questa violenza è quella che viene perpetrata alle frontiere contro le persone migranti, che cercano vita degna e fraternità. L’Europa, dopo aver chiuso i canali legali di accesso, ha deciso di siglare accordi con i Paesi che si trovano sull’altra sponda del mare, perché siano loro a contenere il flusso migratorio, sacrificando i diritti umani. La storia recente segna una spirale di cinismo e di violenza.
Nel 2017 l’Italia sigla gli accordi con la Libia, coinvolgendo figure come il superboss della mafia libica Bija: a causa di quegli accordi, sempre rinnovati, ogni settimana centinaia di persone migranti vengono catturate in mare e deportate nei lager libici. Nel luglio 2023 l’Europa, su spinta dell’Italia, replica lo stesso modello con la Tunisia: a causa di quegli accordi ogni settimana decine di migliaia di persone vengono intercettate in mare e, una volta respinte, sottoposte a trattamenti disumani. Dall’entrata in vigore di quegli accordi, le forze militari tunisine iniziano a deportare le persone migranti ai confini con l’Algeria e con la Libia, dove le abbandonano nel deserto o le consegnano alla mafia libica. Le vittime più note di queste deportazioni sono Fati Dosso e Marie, la donna e la bambina, uccise dalla sete, la cui foto ha fatto il giro del mondo l’estate scorsa. La pratica di quelle deportazioni continua e le ultime sono avvenute nei giorni scorsi. In mezzo a questa spirale di violenza la storia recente ha però registrato un fatto nuovo: ispirate dallo stesso sogno di Martin Luther King, molte persone migranti hanno iniziato a organizzarsi in movimenti popolari, a sostenersi le une le altre e a lottare insieme.
Così nell’ottobre 2021 nasce Refugees in Libya e pochi mesi dopo nasce Refugees in Tunisia. Nel febbraio di quest’anno alcune di queste persone a Tunisi si accampano davanti alla sede dell’UNHCR, appellandosi alla comunità internazionale, perché le metta in salvo dai trattamenti disumani e le riconosca come soggetti, veri fratelli e sorelle. La risposta è stata il silenzio. Grazie all’indifferenza oltremare, il potere militare capisce che può reprimere la mobilitazione con violenza: giovedì intorno alle 3 del mattino diverse forze di polizia fanno irruzione, smantellano il campo di protesta e catturano molte persone presenti. Centinaia di rifugiati e richiedenti asilo, tra cui donne e bambini, provenienti dall’Africa subsahariana, vengono arrestati, caricati con la forza su autobus e deportati al confine con l’Algeria: ancora non si sa che ne sarà di loro.
Davanti al grido delle persone migranti che chiedono vita degna e fraternità, la risposta dell’Europa continua ad essere quella di finanziare per il loro respingimento forze militari estere che le reprimono con violenza. Non possiamo però ignorare anche la responsabilità della nostra indifferenza. Nonostante questo, la speranza dei movimenti popolari non viene meno: essi, al pari di Martin Luther King, continuano a sperare in tutti noi. Così dichiara David Yambio, portavoce di Refugees in Libya: «Noi crediamo ancora in tutte le persone comuni: crediamo che esse presto si sveglieranno e sfideranno la disumanità perpetrata con soldi e risorse europee, capendo finalmente che solo se diventeremmo veramente, nei fatti e non solo a parole, fratelli e sorelle, ci salveremo, insieme».