Pubblicato su La Stampa
di don Mattia Ferrari
«Cittadini e cittadine italiani ed europei, vi preghiamo, ascoltateci! Aiutateci a salvarci da queste deportazioni: v lo chiediamo in nome della giustizia e della fraternità!». È questo il grido che giunge della Tunisia e che i movimenti sociali Refugees in Tunisia e Refugees in Libya, composti dai migranti stessi, stanno cercando di far giungere alle nostre orecchie. Molti migranti si sono accampati vicino a Sfax e stanno diffondendo il video del loro grido.
La situazione in Tunisia peggiora costantemente. Dopo gli accordi con l’Unione europea, fatti su spinta dell’Italia, le milizie tunisine hanno intensificato le violenze ai danni dei migranti presenti nel Paese. La Garde Nationale cattura i migranti in mare e li riporta indietro, dove spesso vengono poi caricati sui pullman e deportati. Quella delle deportazioni è una pratica che continua da più di un anno. Il caso più noto delle vittime di queste deportazioni è quello di Fati e Marie, la moglie e la figlia di Pato, uccise dalla sete nel deserto. È un caso spesso citato da papa Francesco. Ma è solo uno dei tanti casi che si ripetono continuamente. Il 12 novembre scorso due gruppi di migranti catturati in mare e deportati nel deserto sono riusciti a diffondere la posizione gps del punto nel deserto in cui si trovavano e hanno supplicato di essere soccorsi. Tra loro c’erano varie donne incinte e vari bambini. Il loro grido è stato diffuso dai media vaticani, da Scomodo, la rivista giovanile indipendente più grande d’Italia, e da altre testate. Tuttavia nessuno è andato a soccorrerli e queste persone sono così state risucchiate dal buco nero del deserto.
Nei giorni scorsi è peggiorata la situazione nei campi profughi vicino a Sfax. Le violenze delle milizie sono continue e non c’è assistenza sanitaria. L’ennesima vittima è una donna, Bintu, originaria della Guinea. La sua tenda è stata distrutta la settimana scorsa e non ha potuto prepararla di nuovo correttamente perché faceva troppo freddo. Non aveva abbastanza coperte, quindi ha provato ad accendere la carbonella ma è rimasta soffocata. Molti altri sono in pericolo di vita a causa delle infezioni che si diffondono e non osano lasciare il campo profughi perché se escono li attendono le violenze delle bande armate.
Tutto questo è il risultato degli accordi per respingere i migranti. In Tunisia si è scelto di replicare la sostanza di quel modello Libia applicato nel 2017: finanziare un Paese che si trova sull’altra sponda del mare perché blocchi i migranti per conto nostro, anche a costo di sacrificare i diritti umani sull’altare del cinismo. In Libia quegli accordi hanno portato a un grande rafforzamento del potere della mafia libica, come hanno dimostrato le inchieste di giornalisti coraggiosi. E hanno portato a quelli che l’Onu definisce “orrori indicibili” ai danni dei migranti. Nonostante questoquegli accordi sono ancora in vigore, perché sono stati rinnovati.
Il dramma dell’Italia e dell’Europa è che il cinismo delle politiche si salda con l’indifferenza di larga parte della popolazione e il risultato è il dilagare di questa violenza indicibile ai danni di persone che cercano solo vita degna e fraternità, in fuga dalle guerre, dal disastro ecologico, dalla miseria causata dal neocolonialismo. A denunciare tutto questo sembrano rimasti solo il Papa, alcuni vescovi, i movimenti sociali, le associazioni e le Ong. Per il resto domina un silenzio complice, frutto dell’individualismo che ha preso possesso dei nostri cuori. Un individualismo esasperato che non ci rende più felici e che anzi ci ha fatto entrare in quella che autorevoli psichiatri definiscono “l’epoca delle passioni tristi”. Sì, perché una società che si chiude nella ricerca del benessere individuale e sottomette tutti al principio di prestazione genera solo sofferenza mentale, come sta denunciando da anni ad esempio la Rete degli Studenti medi. questo avviene perché abbiamo dimenticato la fraternità.
Ora queste persone migranti gridano verso di noi e ci chiedono proprio di riscoprire la fraternità. Martin Luther King proclamava: «Ho il sogno che un giorno gli uomini si leveranno in piedi e si renderanno conto che sono stati creati per vivere insieme come fratelli». Quel sogno è lontano dal realizzarsi. E quel grido risuona oggi nelle voci e nei volti di Refugees in Tunisia e Refugees in Libya. Sta a noi dare risposta. Ecco perché attraverso le pagine del quotidiano La Stampa, che ringrazio, voglio far risuonare l’appello di tutte le persone di buona volontà che si sono fatte prossime ai migranti che gridano a noi e voglio esclamare: cari e care concittadini italiani ed europei, liberiamoci dalle catene dell’individualismo che tiene prigionieri i nostri cuori e le nostre menti e ascoltiamo il grido di fraternità che giunge a noi dalla Tunisia e dalla Libia! Poniamo fine a questi respingimenti e a queste deportazioni, e accettiamo la sfida di costruire insieme un altro mondo possibile, la civiltà dell’amore. È giunto il momento di levarsi in piedi, di riappropriarci della nostra identità più profonda, quella di fratelli e sorelle tutti, e darle carne.