di Lorenzo Fattori
C’è qualcosa nella cerimonia del nuovo insediamento di Donald Trump che dovrebbe colpire almeno quanto il suo, a tratti delirante e del tutto preoccupante, discorso: gli invitati.
In questi giorni l’attenzione è stata comprensibilmente rivolta ai magnati di internet e delle tech companies, tra cui figurano alcune delle persone più ricche al mondo, ma ormai è chiaro che il grande “capitalismo della sorveglianza” si sia allineato al di nuovo presidente. Per noi europei sarebbe necessario, però, prender nota anche di quali siano i riferimenti politici da lui invitati: perché questi inviti esprimono un messaggio politico molto chiaro su come saranno, probabilmente, i prossimi quattro anni.
Nonostante infatti formalmente siano alleati, tramite la NATO, i governi di Germania, Regno Unito, Spagna e Francia non sono stati invitati alla cerimonia di insediamento. Guarda caso, i primi tre vedono al governo partiti di tradizione socialdemocratica (rimandando ad altra occasione la discussione su quanto effettivamente le politiche di Labour o SPD siano socialdemocratiche oggi) e il quarto un “cordone sanitario” verso l’estrema destra che, per quanto sempre più esile (soprattutto per colpa di Macron ma, anche qui, non è questa la sede adatta a questa discussione), ancora esiste nella dimensione governativa. Tutti questi Paesi sono stati, per così dire, “rappresentati” da leader di estrema destra come Santiago Abascal (Vox), Nigel Farage (ReformUK), Éric Zemmour (Reconquête) e Tino Chrupalla (AfD).
A noi italiani, com’è noto, è toccato di avere già un governo gradito a Trump, e quindi di essere rappresentati dalla Presidente del Consiglio. Sarebbe il caso di trarre qualche considerazione da tutto ciò.
Innanzitutto, che una rete di rapporti sintetizzabile come “internazionale nera” esiste, come peraltro era evidente già dai tempi dei viaggi per il mondo di Steve Bannon per sostenere partiti e movimenti di estrema destra, e che i rapporti transatlantici probabilmente privilegeranno la comunanza ideologica piuttosto che la corretta relazione intergovernativa tra Stati alleati. Cosa che poi non ci deve stupire troppo: è lungo l’elenco delle influenze e finanche dei golpe, durante la guerra fredda, che hanno visto in azione strutture legate agli USA, anche in Paesi formalmente alleati, se ritenuti troppo tiepidi nei confronti dell’Unione Sovietica, o i cui elettori votavano in modo troppo sgradito a Washington. Nella logica da nuova guerra fredda in cui sembra essere tragicamente piombato il mondo, certi vecchi metodi, come appunto il rapporto preferenziale con forze politiche di destra alle spalle dei governi in carica, possono sembrare interessanti da rispolverare.
E poi, è chiaro anche che a Washington siano consapevoli che la dimensione intergovernativa dell’Unione Europea ne sia una delle più grandi debolezze, e sono pronti a sfruttarla.
Sarebbe il caso che da questo lato dell’Atlantico si iniziasse a riflettere, molto seriamente, a partire da questi punti. Soprattutto nelle classi dirigenti europee e nelle forze progressiste se, dopo aver sventolato per anni un “atlantismo” ora sempre meno realisticamente sostenibile, vogliono sperare di avere ancora uno spazio politico praticabile nel prossimo futuro.