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Lezioni francesi: il ritorno della sinistra e l’inizio della fine di Macron

Arturo Scotto
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Mario Rossi - La Repubblica

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Credit: LE PICTORIUM/Alamy Live News

La Francia che ieri ha fermato l’estrema destra e ristabilito il primato dei valori della République rappresenta un messaggio di speranza per tutta Europa. Ovviamente nessun modello è esportabile, ma bisogna anche evitare di scambiare i desideri per la realtà.

La Le Pen è stata bloccata nella sua ascesa al potere, ma Macron – benché molti osservatori o commentatori italiani non se ne siano affatto accorti – esce pesantemente ridimensionato. La sua stella non brilla più e si apre una stagione interessante e inedita con il ritorno in campo di una di una sinistra che non ha paura di parlare di socialismo e di mettere al centro la lotta alle politiche neoliberali che hanno indebolito il welfare e fiaccato la coesione sociale.

L’esito del voto parla anche all’Italia: davanti al pericolo di una destra nazionalista, xenofoba e sovranista, attraversata dalla nostalgie per i regimi autoritari come Vichy, trovare il modo di individuare piste unitarie è un dovere patriottico prima ancora che un principio di realtà politica. La legge elettorale a doppio turno ha favorito senz’altro le desistenze e dunque aperto la possibilità di respingere l’avanzata di Le Pen e Bardella. Dunque, unirsi per battere l’estrema destra resta una necessità che parla anche al nostro paese. Ciascuno con la sua formula, perché non esiste un libretto delle istruzioni adatto a tutti i contesti. Negare tuttavia questa necessità è semplicemente lavorare per il re di Prussia.

Accanto a questo, la lezione francese ci dice che la sinistra può rinascere e avere ruolo e funzione se fa il suo mestiere. Se ha un programma socialmente connotato e decifrabile. Il Nuovo fronte popolare ha messo al centro il salario minimo a 1600 euro e il no alla riforma delle pensioni, la difesa del potere d’acquisto e la reintroduzione della tassazione sui grandi patrimoni. Tant’è che ha riconquistato il voto delle giovani generazioni e vinto nella banlieue di Parigi, Marsiglia e Lione. L’unità della sinistra si è costruita dunque attorno ai temi, non solo per fare barrage, anche perché la Francia ha vissuto due anni in piazza contro le riforme antisociali del governo Macron.

Il Presidente della Repubblica il giorno dopo la vittoria delle presidenziali nel 2022, con il contributo decisivo al ballottaggio dei voti della sinistra (Mélenchon era arrivato al 22 per cento sfiorando il secondo turno) promise che avrebbe ascoltato il dolore sociale che attraversava la Francia. Promessa mancata. Al contrario la sua riforma delle pensioni ha allargato la frattura tra sindacati e governo, generando una mobilitazione mai vista negli ultimi anni e contribuendo ad alimentare ancora di più l’impopolarità dell’inquilino dell’Eliseo, costretto a cambiare due capi di governo in meno di due anni.

Ha prevalso una sinistra plurale – capace di mettere insieme gli insoumises, i socialisti, i comunisti e i verdi -, nonostante le previsioni di Macron che aveva anticipato il voto per spiazzarli e farli andare separati. È accaduto esattamente l’opposto. Dunque, l’azzardo dello scioglimento non era dettato da una intuizione geniale, ma partiva dal presupposto che il solco scavato alle europee tra Glucksmann e Mélenchon avrebbe impedito la costituzione del Fronte popolare, e che dunque a fare barrage sarebbe rimasto nuovamente Macron contro Le Pen. Non è andata così, quella rendita è finita. Lo stesso Attal, primo ministro macroniano dimissionario, ha rivelato ieri sera di non aver condiviso la strategia del presidente. Inizia in qualche modo la fase declinante del centro radicale che ha governato la Francia negli ultimi anni, un’anomalia tra l’altro in un paese per decenni attraversato da un bipolarismo tra destra repubblicana e sinistra socialista.

Cosa ci dice dunque la Francia? Che il Rassemblement national resta la prima forza del paese. Con una egemonia impressionante nelle aree interne e mezzo piede nelle periferie sociali più sofferenti. Significa che rischiano di essere i protagonisti nel nuovo bipolarismo dei prossimi anni. Questa destra usa le fratture sociali per alimentare la paura nei confronti degli immigrati, anche quelli di terza e quarta generazione, e continua a portare avanti il cavallo di battaglia della “preferenza nazionale”, che è la negazione dei valori universali della Rivoluzione francese. Non si può pensare di sradicarla giocando per sempre con il messaggio “tout sauf Le Pen”. Occorre prendere il toro per le corna, aggredendo le cause di questa reazione nei confronti del multiculturalismo: l’allargamento della ferita tra aree metropolitane e aree interne, la crescita delle diseguaglianze sociale, il ripiegamento della funzione regolativa dello Stato in un paese di tradizione centralista.

Il centrismo di Macron non è riuscito a risolvere nessuno di questi problemi, per molti aspetti li ha aggravati. Ha sdoganato spesso Le Pen giocando al gatto con il topo per tenere ai margini la sinistra. Non ha suturato le ferite perché ha governato senza equilibrio e senza moderazione, prendendo di mira proprio il blocco sociale della sinistra che lo aveva sostenuto al secondo turno contro Le Pen. E di fronte alle proteste sociali non ha esitato a usare l’ordine pubblico anziché il dialogo e il confronto, esasperando la dinamica della disintermediazione e non disdegnando una personalizzazione del potere senza precedenti. La sinistra riprende fiato anche per queste ragioni, dopo che sembrava destinata a scomparire dalle mappe elettorali perché incapace di riunificarsi e rinnovarsi.

È chiaro che toccherà al Fronte popolare avanzare la proposta di governo, in quanto forza di maggioranza relativa. Partirebbe dunque un governo di minoranza che dovrebbe cercare i voti di volta in volta per applicare il programma elettorale comune. È probabile tuttavia che Macron possa dilazionare i tempi di negoziazione per il nuovo governo, cercando di spaccare i socialisti e la France Insoumise per costruire un esecutivo più spostato al centro. Non sappiamo se il tentativo riuscirà. Al momento, nel Fronte sembra prevalere la ricerca di un compromesso sia su chi deve guidare il governo sia sulla sua composizione, in base ai rapporti di forza che vedrebbero prevalere leggermente Mélenchon per numero di deputati. D’altra parte, una divisione a sinistra consegnerebbe all’irrilevanza tutti gli attori del Fronte, con Mélenchon unico oppositore di un governo di centro con qualche sfumatura rosa, inevitabilmente costretto a fare i conti con mille compatibilità e sotto tutela degli umori altalenanti dell’Eliseo, e i socialisti costretti a reggere la coda del macronismo declinante, precipitando di nuovo nell’incubo che li aveva quasi portati alla scomparsa.

Uno scenario “paludoso” che non conviene a nessuno. Anche perché da oggi inizia un’altra lunga campagna elettorale: quella delle elezioni presidenziali che tra tre anni (o forse prima, qualora il macronismo dovesse avvilupparsi in una crisi sistemica) vedranno la sinistra confrontarsi con l’estrema destra. E nessuno vuole correre il rischio di arrivarci senza fiato.

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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