Intervista a La Stampa
di Niccolò Carratelli
Per Roberto Speranza quella in Basilicata è una sconfitta più dolorosa delle altre. «Provo grande amarezza», ammette l’ex ministro della Salute, lucano di nascita, da molti considerato il candidato naturale del centrosinistra alla presidenza della Regione. Lui ha preferito evitare, «ma il punto non è il nome del candidato – spiega – piuttosto aver subito un’assurda logica dei veti». Non è tenero con Giuseppe Conte, con cui ha un ottimo rapporto personale, perché «bisogna saper guardare a un interesse superiore, cioè alla costruzione dell’alternativa alla destra – spiega Speranza – la generosità non può venire da una sola parte». Intende dal Pd e da Elly Schlein, che con la candidatura alle Europee e l’idea (poi «giustamente» accantonata di mettere il suo nome nel simbolo del partito ha solo cercato di «portare un valore aggiunto a livello elettorale».
In Basilicata, invece, avete fatto di tutto per perdere, non trova?
«Abbiamo perso una grande opportunità, per capirlo basta sommare i voti delle forze politiche che a Roma sono all’opposizione del governo Meloni e confrontarli con quelli del centrodestra. C’è tanto rammarico per non essere riusciti a correre tutti insieme, si poteva vincere e aprire una stagione diversa».
Dicono che con lei in veste di candidato sarebbe stato tutto più semplice…
«Ma il problema non è stato certo il candidato: Piero Marrese è molto in gamba e ha fatto un ottimo lavoro. Il punto è che abbiamo pagato a carissimo prezzo veti incomprensibili, prima sulle persone (Chiorazzo è stato il più votato della Basilicata) e poi sulle forze politiche. Certo non apprezzo la disinvoltura di chi, dalla mattina alla sera, si è buttato a destra. Così perdiamo tutti e non si va da nessuna parte».
Lo ha spiegato al suo amico Conte?
«Ne abbiamo parlato diverse volte. Di fronte a una destra che smantella la sanità pubblica, ammazza l’Italia con l’autonomia differenziata e propone il premierato, lavorare insieme è un obbligo morale».
Però non sta accadendo, o almeno non in modo sistematico…
«Non c’è dubbio che dobbiamo ancora collaudare una modalità di stare insieme. Ma serve uno sforzo da parte di tutti, in nome del bene superiore che è la costruzione dell’alternativa alla destra. Stare in coalizione significa essere pronti a fare un passo verso i propri aleati, come abbiamo fatto noi in Sardegna, a costo di subire una scissione con la scelta di Soru. Se a sacrificarsi è solo uno, le cose non funzionano».
Conte sembra più impegnato a distinguersi, per guadagnare consensi a discapito del Pd. Quindi?
«Intanto, segnalo che questo atteggiamento non porta benefici, i risultati elettorali sono sotto gli occhi di tutti e non sono incoraggianti. Continuare a smarcarsi per guadagnare uno zero virgola è una strategia miope, perché i nostri elettori ci chiedono unità contro la destra e, quando questo sforzo non emerge, si allontanano».
Allora fa bene Schlein a sopportare gli attacchi e a insistere sulla linea «testardamente unitaria»?
«La linea è giusta, ma è evidente che a tutto c’è un limite e che in Basilicata, ad esempio, quel limite sia stato superato. Non possiamo essere solo noi a lavorare per costruire l’alternativa. Che esiste già nei numeri: io scommetto che anche alle Europee la somma dei voti presi dai partiti di opposizione sarà superiore a quella delle forze di maggioranza».
A proposito di Europa, la telenovela sulle liste del Pd è finita. Bilancio?
«Sono liste forti, che valorizzano le risorse interne, ma aprono anche il partito all’esterno: ci emettono in condizione di rappresentare una parte larga della società italiana».
Secondo Prodi, la candidatura di Schlein, che poi non andrà a Bruxelles, è una «ferita per la democrazia». Che ne pensa?
«Le parole di Prodi vanno sempre ascoltate con grande attenzione. Personalmente credo che il senso della scelta di Elly di stare in campo sia legato alla necessità di portare un valore aggiunto al partito a livello elettorale».
Ha fatto bene a rinunciare al suo nome nel simbolo Pd?
«È una scelta che ho apprezzato, ha dimostrato di aver ascoltato il dibattito, non formale, della Direzione. Conosco Elly e so che rifugge l’idea di partito personalistico, una formula che non appartiene alla nostra storia e tradizione politica».
In ogni caso, la polarizzazione dello scontro tra Schlein e Meloni ormai è nei fatti e su molti temi. La sanità è uno dei principali.
«Quella per noi è una battaglia identitaria, segna una differenza enorme tra noi e la destra: noi difendiamo il modello universalistico, loro pensano a un sistema in cui ti curi solo se ha l’assicurazione e la carta di credito. Hanno definanziato il fondo sanitario, basta guardare la spesa in rapporto al Pil, causando un arretramento spaventoso e cancellando la drammatica lezione del Covid».
Aver affrontato la pandemia da ministro della Salute l’ha segnata in modo indelebile, ha raccontato di non aver ancora recuperato del tutto…
«Io sono sereno con me stesso, ho sempre agito nell’interesse del Paese, come anche vari tribunali hanno riconosciuto. Ma vivo con amarezza una campagna di odio che viene alimentata quotidianamente nei miei confronti e che, purtroppo, è arrivata a coinvolgere persino la mia famiglia con minacce molto gravi».