di Serenella Mattera
«Il vento nuovo che spira negli Stati Uniti dopo la candidatura di Kamala Harris insegna al Pd che deve continuare a stare dalla parte del cambiamento, come ha ripreso a fare sui diritti civili e sociali, dopo essere sembrato troppo a lungo distante dalla vita reale delle persone». Roberto Speranza è a Chicago, alla convention che incorona la candidata alla presidenza, è tra i dem italiani ospiti dei democrat americani. E sembra farsi trascinare dall’entusiasmo per una partita, quella per la Casa Bianca, «che contro Trump appariva già persa e invece Harris ha riaperto». Stare dalla parte del cambiamento ora in Italia, dice con convinzione, vuol dire anche «andare a vedere l’apertura di Forza Italia sulla cittadinanza».
Antonio Tajani a Repubblica assicura che stavolta fanno sul serio, anche Piantedosi apre: è una novità politica che intendete cogliere?
«È incoraggiante, aspettiamo una legge da troppo tempo. Spero solo che alla fine non s’imponga, come temo, una disciplina di maggioranza, ad azzerare le aperture. Parliamo della vita di circa un milione di giovani italiani senza cittadinanza: studiano con i nostri figli, parlano i nostri dialetti. Il Parlamento riconquisti la sua centralità e apra questa discussione: FI è molto diversa da noi su tanti temi, ma questa è un’occasione da non sprecare».
L’hanno sprecata i governi di centrosinistra che una legge non sono riusciti a farla.
«Noi ripartiamo dallo Ius soli temperato (cittadinanza a chi nasca in Italia da stranieri con permesso di soggiorno di lungo periodo, ndr) la proposta approvata alla Camera nel 2015 e mai passata al Senato: la sinistra non era autosufficiente, si sfilò Ncd di Alfano».
Ma sullo Ius soli non ci stanno né FI né il M5s: chiedono lo Ius scholae, cittadinanza a chi studia in Italia.
«Se c’è la possibilità di fare un passo avanti offrendo più diritti a una platea comunque molto larga, dobbiamo andare a vedere».
Anche se FI ponesse l’asticella a 16 anni, dopo la scuola dell’obbligo, contro i 18 anni attuali?
«Ogni passo avanti, anche piccolo, va colto, poi si discuterà in Parlamento. C’è un fatto politico: una forza di maggioranza è pronta al confronto. Sbaglieremmo a porre paletti stringenti o ultimativi».
Non è velleitario pensare di superare il muro di Salvini e le resistenze di Meloni?
«Visto che spesso si tira in ballo impropriamente la sicurezza, dico che un Paese che integra meglio i ragazzi, anche se non di sangue italiano, è anche un Paese più sicuro: promuove un’integrazione efficace».
Marina Berlusconi si dice più in sintonia con la sinistra sui diritti. Tajani sostiene che non c’entrano destra e sinistra, ma la capacità di ascoltare un Paese maturo. Si è spostata la linea politica di demarcazione?
«FI è una forza moderata che si è distinta anche su altri temi, per la mia esperienza di ministro ricordo la pandemia e i vaccini. Ma c’è una differenza enorme tra la sinistra e una destra che alimenta paure, come fanno Trump e in Italia la Lega e FdI. Lo vedo qui alla convention democratica, dov’è centrale la battaglia contro le restrizioni trumpiane sull’aborto. Lo vedo da noi e da progressista chiedo: che paura avete di un ragazzo nato in Italia da genitori non italiani che da dodici anni vive e studia con i nostri figli?».
Insomma, avanti con FI anche su temi come carceri e Autonomia?
«Contano i fatti, non le parole. Sull’Autonomia differenziata ad esempio gli azzurri hanno votato a favore in Cdm e in Parlamento. Ma sono sicuro che al referendum tanti elettori moderati voteranno con noi».
Calenda vede nella svolta impressa dai Berlusconi la prospettiva futura di “un governo fondato su un centro pragmatico”. Vede all’orizzonte governi di centrosinistra con Forza Italia?
«No. Attenti a proiettare su altro la discussione parlamentare su un singolo tema. FI è parte di questo governo, al quale dobbiamo costruire un’alternativa forte».
A proposito di alternativa: Elly Schlein non pone veti e Matteo Renzi si dice pronto ad allearsi col suo campo largo. Può essere d’accordo chi come lei nel 2017 uscì dal Pd in dissenso dalla linea di Renzi?
«In questi anni Renzi ha fatto scelte che vanno in tutt’altra direzione. La più grave è aver fatto cadere il governo giallorosso e creato così nel medio periodo le condizioni che hanno spalancato la porta a questa destra. Ora di Renzi si occupano molto i giornali ma non mi sembra che sia quello il punto per costruire un’alternativa credibile nel Paese».
Secondo un sondaggio di Noto per Repubblica, solo il 29% degli elettori Pd vede bene l’alleanza con Renzi. Eppure casi come la sua Basilicata insegnano che per vincere i voti dei centristi servono.
«I voti non si sommano facilmente, conta molto più la coerenza del profilo politico. Noi stiamo facendo una grande battaglia sul salario minimo. Italia viva è contraria».
Siete distanti anche sulla giustizia. Ma non è d’accordo con Renzi sul presunto complotto contro Arianna Meloni come caccia ai fantasmi?
«A me sembra vittimismo per non parlare dei problemi reali del Paese. Se Giorgia Meloni ha elementi concreti, li chiarisca in Parlamento. È grave che faccia certe dichiarazioni sulla base di un articolo di giornale».
Torniamo alla lezione che trae da Kamala Harris: che intende quando dice al Pd di stare col cambiamento?
«Ho sentito Joe Biden dire che l’America non l’ha fatta Wall Street ma i lavoratori. I democratici americani hanno i piedi ben piantati nella working class, hanno messo al centro il lavoro. Il Pd è cambiato molto con la leadership di Schlein: era sembrato a lungo distante dalla vita delle persone, ora è più coraggioso sulla questione sociale, pone al centro lavoro, scuola, sanità. È il nuovo Pd, non si torni indietro».