di Niccolò Carratelli
«Sono qui da semplice cittadino, potrei dire per passione». Massimo D’Alema cammina in silenzio subito dietro la testa del corteo che scende lungo via Cavour, verso i Fori imperiali. È lì, cinque o sei metri alle spalle di Elly Schlein, che si è messa a tenere lo striscione di Cgil e Uil con la scritta “manovra sbagliata”. Nessuno sembra fare caso all’ex presidente del Consiglio, che è venuto perché «mi piace annusare il clima, sentire gli umori delle persone – spiega – è un esercizio che dovrebbero fare tutti i politici, ma io ormai sono un ex». Allora viene spontaneo chiedergli cosa ha annusato, in questi primi 500 metri di percorso. «C’è un disagio sociale crescente, difficoltà oggettive dei lavoratori e delle famiglie, che non possono essere ignorate – avverte – di questo passo le proteste non potranno che aumentare». La sua voce viene coperta dal coro che si alza in quel momento contro Matteo Salvini e la sua smania di precettare i lavoratori. «È velleitario pensare di impedire gli scioperi e di limitare diritti garantiti dalla Costituzione – sottolinea D’Alema – ma non è una novità che questo governo sia allergico al dissenso. Da chi ha responsabilità istituzionali è lecito aspettarsi un atteggiamento diverso».
Si avvicina un signore in giacca rossa: «Presidente, una foto». D’Alema storce i baffi, ma si mette in posa, pur senza sorridere, non si può pretendere troppo. Poi si guarda intorno: «C’è molta gente e pare sia così anche nelle altre città, è un segnale importante – spiega – questa destra non è maggioranza nel Paese, lo dicono i numeri». Tocca obiettare che Meloni, seppur con un’alta astensione, ha vinto le elezioni. «Il punto è riuscire a dare un’organizzazione e una forma politica all’altra parte – ragiona l’ex segretario del Pds – e questo ora è il compito dei giovani, dobbiamo sperare in loro». Mentre lo dice, con un rapido gesto del mento indica Schlein, lì davanti, che sta abbracciando una ragazza in felpa Cgil. «Non c’è dubbio che il Pd sia cresciuto, a conferma che stare il più possibile in mezzo alla gente è la strada giusta – concede D’Alema – anche per recuperare una quota degli astenuti, può bastarne anche una piccola». C’è un evidente “però” in sospeso, mentre il corteo svolta sui Fori imperiali. Però? «Però il Pd da solo non basta, bisogna esserne consapevoli, per vincere serve un coinvolgimento delle altre forze di opposizione». E qui, inevitabilmente, scatta la domanda sul Movimento 5 Stelle, sull’assemblea costituente appena conclusa e su Giuseppe Conte, con il quale D’Alema ha costruito un rapporto di stima reciproca: «A volte ci sentiamo», aveva confidato tempo fa il presidente M5S. La risposta conferma questa simpatia: «Credo che Conte stia facendo un’operazione utile per la democrazia del nostro Paese e davvero non capisco chi lo attacca o lo prende in giro – dice D’Alema – Non mi riferisco solo al padre padrone (Beppe Grillo, ndr), che ha i suoi motivi, ma anche a certi commentatori e giornali». Insomma, il nuovo corso appena inaugurato dal Movimento è una buona notizia per la sinistra italiana, perché «ora è una forza politica matura, che ha fatto il suo percorso e le sue scelte, su cui ormai si può fare affidamento per battere la destra».
La costruzione dell’alternativa non sembra proprio una passeggiata, se l’obiettivo non è solo vincere le prossime elezioni, ma governare il Paese in modo stabile. «Si può fare, come abbiamo fatto noi 25 anni fa, auspico ci riescano anche loro». Quello non fu proprio un percorso netto, visto che il primo governo Prodi cadde in Parlamento per il ritiro dell’appoggio esterno da parte di Rifondazione comunista. Leggera smorfia di disappunto: «Ma abbiamo governato per cinque anni, cinque, e quelli sono i governi che hanno ottenuto i risultati migliori per l’Italia, si vada a vedere i dati economici e di crescita». Per chi non lo ricorda, dopo la caduta di Prodi a Palazzo Chigi si insediò proprio D’Alema, presidente di due diversi governi.
Mentre ci avviciniamo al palco dei sindacati, montato quasi sotto l’Altare della Patria, c’è tempo per un giudizio sulla nuova Commissione europea guidata da Ursula von der Leyen, ultimo tema divisivo tra Pd e M5S, visto che a Strasburgo hanno votato in modo opposto (dem a favore, 5 Stelle contro). «Mi ha colpito lo sfarinamento dei gruppi al Parlamento europeo, praticamente non ce n’è stato uno che ha. votato in modo compatto – commenta l’ex premier – Questa commissione parte in un quadro di oggettiva debolezza, senza una maggioranza chiara. E con le maggioranze variabili non si va molto lontano».