di Giovanna Vitale
Onorevole Pier Luigi Bersani, traduca la visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca: vittoria, pareggio o sconfitta?
«Diciamola così: la destra fa il suo mestiere che è quello di venderci ottone come fosse oro, ma ognuno può giudicare leggendo il comunicato congiunto Italia-Usa. Sostanzialmente allude a tre cose: acquisto di armi e gas dagli Stati Uniti, no alla web tax e — particolare che hanno notato in pochi — porte aperte ai servizi di intelligenza artificiale e di cloud per l’Italia e per l’Italia nel Mediterraneo. In pratica, il nostro Paese può diventare l’hub per questi servizi nel Medio Oriente».
Che significa, in concreto?
«Vuol dire che Trump non cerca mediazioni, cerca spiragli per indebolire la posizione negoziale dell’Europa».
Perché?
«Sulle armi noi stiamo già al 78% delle importazioni dagli Stati Uniti. Sul gas, quello americano ci costerebbe fra due e tre volte in più di quanto lo pagano in Usa e noi pagavamo alla Russia, con buona pace delle bollette e delle rinnovabili. Mentre la web tax è una delle poche carte che l’Europa può giocare per affrontare in piedi un negoziato con Trump poiché, per esempio sul cloud, oggi siamo in mano alle Big Tech. E lo stesso vale per i sistemi di pagamento».
Meloni si è consegnata mani e piedi a Potus?
«Ha ribadito una sudditanza e aperto un varco al dominio statunitense: anche un bambino capirebbe che dare per acquisito l’annuncio del viaggio di Trump a Roma, gli dà la possibilità di usare l’Italia per dare uno schiaffo o una carezza all’Europa. A casa mia, se si tratta con l’Ue lo si fa a Bruxelles. A meno che Meloni non si converta a interpretare il primato europeista di Roma, dove si firmarono i trattati».
La premier ne è consapevole?
«Siccome le riconosco intelligenza credo che lo comprenda. La sua è un’ambiguità dalla quale non riesce a uscire. Ma una presidente del Consiglio che va a Washington lo vuol dire, per favore, che siamo contro i dazi perché i dazi fanno male alle imprese e ai lavoratori italiani? Specie se ritieni che sia un tuo amico, questa cosa la devi dire».
Per quale motivo ha taciuto?
«Ha privilegiato il vincolo politico-ideologico. L’inchino sia agli immigrati con le manette, sia al contrasto alla cosiddetta cultura woke — cioè al pretesto ridicolo attraverso il quale Trump attacca i diritti, comprese ricerca e università — significa far prevalere la visione che sta legando tutte le destre del mondo a scapito dell’interesse nazionale».
Trump però si è detto convinto che l’accordo sui dazi con l’Ue si farà.
«Ma è una spada di Damocle! Intanto, nell’incertezza che si sta generando, misuriamo già dei danni. Meloni vada a sentire come sta andando il risparmio degli italiani. Ad ascoltare le imprese che hanno fermato gli investimenti perché sono senza orizzonte».
L’Europa può fidarsi del “ponte” italiano o dovrebbe dare una risposta corale?
«Intanto quando parliamo di Europa cominciamo a dare nomi e cognomi. Germania, Francia, Italia, Spagna e Polonia devono allestire una piattaforma negoziale comune. E con chi ci sta, per resistere su armi e gas: la prospettiva europea non può dipendere da chi è in grado di accendere o spegnere la luce a suo piacimento. E poi intervenire là dove gli Usa sono più sensibili: per esempio sulle piattaforme digitali per imporre un’equa fiscalità ai colossi che stanno usando le nostre profilazioni per fare soldi a palate senza pagare un euro».
Sta disegnando un’Europa a due velocità?
«Sto parlando di una cooperazione rafforzata. L’euro non l’abbiamo fatto in 27. Dopodiché aggiungo che sarebbe molto significativo per l’Europa approfittare di questa vicenda, dazi o non dazi, per recuperare autonomia strategica almeno su alcuni punti in cui siamo nelle mani degli Usa: le tecnologie militari, il digitale, il cloud, i pagamenti e in prospettiva l’energia. La domanda che dovremmo porci è: nel mondo nuovo che si sta creando, vogliamo essere la 51esima stella sulla bandiera americana o amici con la nostra autonomia?».
Il Rearm-Eu non è il primo passo verso l’autonomia militare strategica?
«Può essere il primo passo in una ulteriore direzione sbagliata. Guardi, io sono pratico, ho fatto il ministro dell’industria e faccio un esempio: si sta arrivando ai caccia di sesta generazione. È un grumo di tecnologia vestito da aereo. In Europa sono in corso tre progetti: l’Italia ne sta facendo uno con Inghilterra e Giappone; Francia e Germania un altro con la Spagna; la Svezia sta discutendo con il Brasile. È normale che, una volta giunti in fondo, ognuno comprerà il suo. Occorre fermare questa deriva qui. Far convergere a poco a poco tutti i 27, ma a partire da chi ci sta. Se ciascuno fa a modo proprio finisce che importeremo quasi tutto dagli Usa».
Intanto l’Ue ha aperto un dialogo con la Cina, osteggiato però da Meloni: può essere un mercato alternativo?
«Noi non dobbiamo essere né alleati, né avversari della Cina, dovremmo dire a tutti i Paesi colpiti dai dazi: aumentiamo la facilità di commercio fra di noi. A tutti. Che sia la Cina, la Norvegia, l’Uzbekistan o il Sudafrica. Faccio notare che in Italia la produzione industriale è in calo da 25 mesi, gli investimenti sono bloccati, i salari stanno al -8% rispetto al 2021: allora noi, e questo vale anche per le opposizioni, vogliamo predisporre un programma di intervento? Lavorare sugli ammortizzatori sociali e i costi dell’energia per le imprese, alcune delle quali potrebbero presto o tardi avere anche qualche problema di liquidità? Va bene la diplomazia dei viaggi, ma intanto la realtà sta mordendo. Tutti vogliono la pace commerciale però non è detto che arrivi».
È scoccata l’ora dell’unità delle opposizioni?
«Questa è un’occasione d’oro per mettersi assieme a discutere sui temi della produzione, dell’occupazione, del risparmio. Bisogna dimostrare che al di là del film che ci viene presentato dai tg e dalla propaganda di destra si costruiscono proposte concrete. Già molto è stato fatto su salari, difesa della sanità, Gaza: pur nella diversità nell’ora dei dazi occorre dare un segno di unità”.
Dice Trump: “Sarò alleato dell’Italia solo se c’è Meloni al governo”. La premier sovranista non ha fatto una piega, come lo spiega?
«Questa è veramente la ciliegina sulla torta. “Siamo amici solo se c’è Giorgia” raffigura la visione di Trump che vuol farsi imperatore, non cerca alleati, cerca proconsoli, e com’è noto in Giudea non hanno potuto scegliersi il prefetto da soli. Ponzio Pilato gliel’ha mandato Tiberio. Buona Pasqua!».