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Dottrina Stoltenberg, un passo verso la Terza guerra mondiale

Arturo Scotto
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Mario Rossi - La Repubblica

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La guerra, dopo Hiroshima e Nagasaki, non la può vincere nessuno. Chi dice il contrario o mente o è un pazzo. La bomba gettata sulle due città giapponesi non servì a chiudere la Seconda guerra mondiale, quella nei fatti era già archiviata e i giapponesi, l’ultimo pezzo dell’asse di acciaio a cadere, praticamente sconfitti. La bomba serviva a spiegare cosa sarebbe stato il prossimo conflitto con le testate nucleari in campo, lo spiega benissimo il film sulla vita di J. Robert Oppenheimer pluripremiato a Hollywood appena pochi mesi fa. La Terza guerra mondiale non avrebbe costruito un nuovo ordine, avrebbe semplicemente eliminato la presenza del genere umano sul pianeta terra. Un passo verso l’apocalisse.

Tant’è che per ottant’anni la minaccia nucleare è stata sullo sfondo di guerre che si combattevano con altri mezzi e che non prevedevano alcuno scontro diretto tra i due blocchi dominanti. La deterrenza generata dall’equilibrio del terrore, tenendo il mondo sempre sul filo della tensione pur senza mai spezzarlo, ha oggettivamente evitato rischiose deflagrazioni. Ma non ha cancellato il pericolo. C’è stato anche un momento in cui i capi di stato di potenze avverse – persino più avverse rispetto a oggi sull’idea di società e sul modello di produzione – hanno messo in campo un’ipotesi di disarmo nucleare.

Nel 1968 il primo trattato sulla non proliferazione nucleare annunciava per la prima volta la presa di consapevolezza del burrone in cui l’umanità rischiava di precipitare. Infine, i trattati scaturiti dal dialogo tra Gorbaciov e Reagan – l’Inf che mise fine alla crisi degli euromissili con lo schieramento degli Ss-20 sovietici e i Cruise americani – e poi tra Gorbaciov e Bush – lo Start che gettava le basi per un dimagrimento bilanciato degli arsenali – purtroppo oggi sono entrati in crisi. Dal primo si ritirò Trump, dal secondo Putin.

Vorrei ricordare che l’ultima battaglia politica di Enrico Berlinguer, di cui tra qualche giorno ricorrono i 40 anni della morte, fu animata dalla necessità di fermare la corsa al riarmo e in particolare alla necessità di fermare l’ escalation militare tra NATO e Patto di Varsavia. Fu preso per visionario, ma aveva accanto a sé personalità del mondo socialista democratico come Olof Palme e Willy Brandt, oltre a un vasto schieramento di movimenti laici e cattolici che si mobilitavano contro questo incubo.

Dopo tanti anni, siamo ancora qui: nessuna iniziativa riesce a rimettere al centro il tema del disarmo nucleare, nonostante sia stato varato un Trattato firmato da 53 paesi – il TpnW – che ha l’obiettivo dell’abolizione delle bombe atomiche ma che non vede l’adesione di USA e Russia e persino dell’Italia.

Il sonnambulismo nel quale sono precipitate le classi dirigenti mondiali impressiona e genera inquietudine. Il ricorso alla bomba atomica non è più un tabù impronunciabile. Se ne parla con una leggerezza tale che si fa fatica persino a comprendere se siamo davanti a manifestazioni di irresponsabilità o ad atti di incalcolabile cinismo.

La guerra russa in Ucraina ha sdoganato in maniera inequivocabile questo scenario possibile, introducendolo nel lessico pubblico come fosse un fatto ordinario. In queste settimane l’orologio dell’apocalisse (Doomsday clock) segna 90 secondi alla fine del mondo. Fino a un anno fa era qualcosa di impensabile. Non stiamo dunque vivendo giorni tranquilli.

Le dichiarazioni del segretario generale della Nato Jens Stoltenberg sulla possibilità di usare le armi fornite dall’alleanza per scopi offensivi nei confronti della Russia oggettivamente rappresentano un salto di qualità, un turning point. Perché cambiano la natura della guerra così come è stata concepita dopo l’invasione criminale di due anni fa da parte di Putin: dal sostegno all’autodifesa dell’Ucraina all’offensiva militare diretta contro Mosca. Che si trasformerebbe inevitabilmente in un conflitto diretto Nato-Russia. Dunque a qualcosa che assomiglia davvero alla Terza guerra mondiale, e alla conseguente deflagrazione atomica.

Questo andrebbe detto in maniera chiara, perché la trasparenza nel rapporto con l’opinione pubblica è fondamentale. Chi chiede il cessate il fuoco e lo stop all’escalation militare viene considerato o complice di Putin o un imbelle perché pacifista. Sono bollati come quelli della “resa” dell’Occidente. Concetto non solo sbagliato, ma semplicemente ridicolo. La tomba dell’Occidente sarebbe la guerra permanente, non la pace, perché la guerra mette sempre a rischio il libero confronto tra le opinioni, militarizza il dibattito pubblico, genera conformismo nei mass media e moltiplica gli anatemi verso chi si mobilita per la pace.

La guerra da sempre porta la democrazia in naftalina, perché non può ammettere increspature e posizioni differenti. Non è un caso che i costituenti scrissero che l’Italia ripudia la guerra. Usarono quel termine così forte – “ripudia” – proprio perché conoscevano benissimo il nesso tra la stretta militare e l’annullamento della partecipazione democratica. Ripudiavano la guerra perché l’avevano conosciuta e avevano preso le armi per liberare il paese dall’invasione nazista e dalla dittatura fascista. Erano difficilmente catalogabili come quelli della “resa”. Erano consapevoli invece della necessità di costruire un nuovo ordine mondiale fondato sulla coesistenza e sul multilateralismo.

Qualcosa evidentemente si è rotto se la parola diplomazia diventa sempre più periferica nella discussione degli organismi sovranazionali, se la parola negoziato scompare dall’agenda dei capi di Stato e di governo, se la parola pace diventa un atto sovversivo, e quello che si è rotto è in mezzo a noi, non in mezzo agli altri.

Ma insistere significa salvare la democrazia in Occidente. Perché gli autocrati sono talmente desueti che non conoscono altro che il linguaggio della guerra. E non aspettano altro che farne ancora.

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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