di don Mattia Ferrari
Il grido che sale dalla Libia giunge con forza alle nostre orecchie in questi giorni in cui assistiamo a un intensificarsi delle violenze condotte ai danni dei migranti. Dalla settimana scorsa, a Tripoli sono iin corso arresti di massa e le persone stanno venendo deportate in prigioni non identificate. Bersaglio di queste catture non sono solo le persone migranti, ma sembra in modo specifico anche i cristiani. E molti bambini. Tra le immagini diffuse, si vede un bambino che tiene in mano un’icona del Sacro Cuore di Gesù. I video diffusi nelle scorse ore mostrano una vera e propria caccia alle persone a Janzour, a ovest di Tripoli, con i migranti che corrono cercando disperatamente di sfuggire alla cattura e alla deportazione nei lager. Mahamat Daoud, di Refugees in Libya, riferisce di grida disperate. Non mancano nemmeno i video celebrativi in cui i supporter della mafia libica celebrano gli artefici di queste operazioni: innanzitutto il Dipartimento per il Contrasto all’Immigrazione illegale (Dcim), capitanato da Mohamed Al-Khoja, uno dei superboss mafiosi che in questi anni è riuscito a ottenere incarichi ufficiali negli apparati statali libici. C’è anche un’altra milizia che viene celebrata come collaboratrice di queste operazioni: quella delle Forze speciali di Deterrenza (Rada), di cui è braccio operativo-istituzionale il generale Jeem Osama Elmasry Habish.
Si tratta di colui che ormai è noto in tutto il mondo con il nome di Almasri. È difficile non vedere come la vicenda della sua scarcerazione e del suo tempestivo rientro in Libia con il volo di Stato italiano abbia prodotto, di fatto, un rafforzamento del potere e del senso di impunità che fortifica la mafia libica e le sue violenze disumane. L’unica volta che la Corte penale internazionale e le forze dell’ordine erano riuscite a trarre in arresto uno di questi boss, che negli anni hanno collaudato e coordinano nell’insieme il sistema dei respingimenti, dei lager e del traffico di esseri umani e non solo, l’unica volta che finalmente uno di loro era chiamato a rendere conto dei suoi crimini contro l’umanità e crimini di guerra ed era chiamato a raccontare la verità su uno dei misteri più grossi di questa epoca storica, quel boss è stato scarcerato e riportato con volo di Stato in Libia. E ora lì, in Libia, persone migranti, cristiani, bambini stanno subendo catture e deportazioni che superano ogni immaginazione. Si è così rafforzato quel sistema di violenza e di respingimento che Italia ed Europa finanziano.
La ferita che si è creata con gli accordi con la Libia del 2017 e che si è acuita cn il caso Almasrri chiede una riconciliazione. David Yambio, portavoce di Refugees in Libya, fa appello a tutti: «Umani del mondo, farete rumore? Disturberete il tuo conforto per affrontare questa atrocità? O fingerete anche voi che l’essere nero sia un crimine, che la migrazione sia una condanna a morte, che queste vite non valgano il vostro fiato? I bambini braccati per le strade di Tripoli, Jenzour, Tajoura, Al-Madina Gadima, non li vedete? Non li sentite? Non mettete in discussione le vostre responsabilità morali ed etiche? Se c’è ancora un po’ di giustizia in questo mondo, che cominci con la verità. Ce tutto cominci con il vostro rifiuto di tacere».
David Yambio è stato torturato direttamente da Almasri, è testimone dei suoi crimini ed è anche, come alcuni di noi, una delle vittime di spionaggio nel cosiddetto caso Paragon. Anche su questa vicenda ci sono ancora tanti misteri, ma quello che è chiaro è il quadro in cui si inserisce: la solidarietà è diventata sovversiva. Sì, la solidarietà è diventata sovversiva e viene criminalizzata e ostacolata in tanti modi, però resiste. Ed è da qui che bisogna ripartire. Urge che l’Italia e l’Unione europea ricuciano la ferita enorme che si acuisce sempre di più con le vittime di questo sistema di respingimento e di violenza e con chi pratica la solidarietà e costruisce la fraternità.
È in gioco non solo la vita di queste persone ma anche la dignità e l’identità dell’Italia e dell’Europa. In questi giorni in cui si prova a rimettere al centro il valore dell’Unione europea, ricordiamoci che essa è chiamata a essere una casa di pace, di libertà, di uguaglianza e di fraternità. Essa è chiamata a essere una sorella per i popoli del mondo, a non cedere a tentazioni di neocolonialimso economico attraverso le multinazionali o a tentazioni di chiusura a fortezza davanti agli esseri umani che bussano alle sue porte. Essa è chiamata a essere una sorella che sa prendere per mano i popoli e le persone, dando carne a quella solidarietà e quella fraternità che costituiscono quanto di più alto ci sia nella condizione umana. È un’utopia? No, è quell’Europa che già si sta costruendo dal basso, grazie a tantissime persone, molte delle quali giovani, che praticano la solidarietà, in mare e in tante città, e costruiscono relazioni di autentica fraternità e sororità con le persone che si trovano in Africa e con quelle che bussano alle nostre porte. Quelle persone danno carne a un Mediterraneo e a un’Europa di fraternità e devono essere ascoltate e assunte. Solo partendo da loro e ascoltando il grido che sale dalla Libia e dagli altri confini potremo riscoprire quell’amore che ci può salvare.