Fornaro: Ventotene un inno alla pace e alla democrazia

Umberto De Giovannangeli - L'Unità
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Mario Rossi - La Repubblica

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Intervista a L’Unità

di Umberto De Giovannangeli

L'”uomo dei numeri”, pochi come lui sono appassionati studiosi di flussi elettorali, ha impartito una vibrante lezione di storia aGiorgia Meloni nell’Aula di Montecitorio. Quel «non è accettabile fare la caricatura di quegli uomini, lei presidente Meloni siede in questo Parlamento anche grazie a loro, questo è un luogo sacro della democrazia e noi siamo qua grazie a quei visionari di Ventotene che erano confinati politici. Si inginocchi la presidente del Consiglio di fronte a questi uomini e queste donne, altro che dileggiarli. Vergogna! Vergogna! Vergogna!», uscitogli di getto, con un carico potente di indignazione, commozione e denuncia politica racconta molto di Federico Fornaro, deputato Pd, già presidente del gruppo Liberi e uguali a Montecitorio, una vita a sinistra. L’Unità lo ha intervistato.

«L’Europa del Manifesto di Ventotene non è la mia». Così la presidente del Consiglio alla Camera. Ma qual è l’Europa di Giorgia Meloni?

È l’Europa delle piccole patrie, degli egoismi nazionali, dei rapporti unilaterali con gli Stati Uniti, della minore integrazione possibile, dell’esaltazione di un sovranismo dal respiro corto, dell’idea che si debbano costruire muri piuttosto che ponti. L’esatto contrario non solo della visione federalista degli estensori del Manifesto di Ventotene, ma anche di quello di cui ci sarebbe bisogno oggi per affrontare le sfide delle rivoluzioni globali e un mondo che sta passando dal multilateralismo a una nuova stagione delle relazioni internazionali fondate sulla forza e su logiche neoimperialiste. L’attualità del documento scritto nel lontano 1941 nell’isola confinaria di Ventotene da Altiero Spinelli, Ernesto Rossi e Eugenio Colorni consiste proprio nell’analisi della responsabilità dei nazionalismi come portatori di conflitti e tensioni e degli Stati Uniti d’Europa come risposta per garantire una pace duratura. Il Manifesto di Ventotene è un inno alla democrazia e alla pace e non già alla dittatura del proletariato come ha provocatoriamente cercato di far credere Giorgia Meloni, oltraggiando la memoria di quelle donne e quegli uomini.

«La Ue deve riarmarsi, finite le illusioni. È il momento della pace attraverso la forza». Così la Presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. È questa l’Europa per la quale scendere in piazza?

Chi ha manifestato nelle piazze in queste settimane ha lanciato un messaggio forte a favore della pace e non certo di un riarmo nazionale. Raccogliere questo messaggio non significa, però, sottrarsi alla responsabilità di garantire la sicurezza dell’Europa, dopo il chiaro messaggio di smobilitazione arrivato dall’amministrazione Trump e l’inaffidabilità di Putin. Lo scudo protettivo della Nato in funzione dal finire degli anni Quaranta del secolo storico verrà depotenziato aprendo scenari diplomatici e militari assolutamente nuovi. La storia però ci dovrebbe insegnare che il riarmo dei singoli paesi, a maggior ragione se accompagnati da maggioranze di governo a guida sovranista, non contribuisce automaticamente a raggiungere l’obiettivo di una maggiore sicurezza, anzi, eserciti rafforzati messi nelle mani nazionaliste sbagliate possono produrre effetti esattamente opposti. La difesa europea andrebbe accompagnata da un’incisiva azione diplomatica per giungere al più presto a una pace tra Russia e Ucraina in cui quest’ultima non esca umiliata politicamente e territorialmente. Così come l’Europa, per storia e tradizione, è chiamata a giocare un ruolo da protagonista per fermare l’escalation militare a Gaza, messa in atto in questi ultimi giorni da un governo israeliano, quello guidato da Netanyahu, che ogni giorno che passa si sta macchiando di crimini di guerra che peseranno come macigni nell’auspicabile percorso verso una pace duratura con il riconoscimento dello stato di Palestina. Guai, comunque, a confondere il popolo israeliano con il suo governo pro tempore e anche a identificare Hamas con tutto il popolo palestinese.

Nel delirio del presente, si usano i morti. Ecco citare De Gasperi, scomodare Altiero Spinelli, o fare paragoni con Hitler, Napoleone eccetera.

La storia andrebbe maneggiata con cura, usando con intelligenza lo strumento critico della contestualizzazione e restituendo la complessità dei fenomeni passati e presenti. L’esatto contrario di quello che ha fatto Giorgia Meloni mercoledì scorso alla Camera, quando ha usato strumentalmente alcuni stralci del Manifesto di Ventotene per picconare le fondamenta stesse della nostra Costituzione antifascista. Far passare Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni come tre bolscevichi propugnatori della dittatura del proletariato non solo è stato un cattivo servizio alla storia ma ha rappresentato un oltraggio alla memoria di tre grandi italiani, loro sì e non certo i repubblichini di Salò, autentici patrioti da ricordare e onorare. Prima della sua improvvida uscita, la presidente del Consiglio avrebbe dovuto andarsi a rileggere le parole pronunciate dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella in occasione dell’80° anniversario della pubblicazione del manifesto federalista, o più semplicemente ricordarsi quanto sia forte la memoria di Spinelli a Bruxelles e a Strasburgo perché è considerato uno dei padri ispiratori dell’Europa unita. In una contingenza storica e politica come quella che stiamo vivendo, un uso efficace della memoria storica può aiutare certamente a ridurre gli errori nelle scelte da compiere nel presente. Guai invece all’uso politico strumentale della storia, tirando per la giacchetta i protagonisti di epoche lontane per portare acqua al mulino di una tesi o una interpretazione del presente. È il peggior servizio che si può tendere proprio a quegli uomini e a quelle donne, quando essi siano stati esempi virtuosi del tempo passato.

Tutti si dicono europeisti ma senza riempire di contenuti e visione. Europa e europeismo non sono riferimenti equivoci e ancor più generici?

L’Europa è di fronte a un bivio: continuare a vivacchiare con una governance dominata dagli stati e dagli egoismi nazionali, con una netta predominanza della logica intergovernativa oppure, stimolata dalle difficoltà e dallo choc della seconda presidenza Trump e dalla pressione esterna dell’Internazionale nera dei vari Musk e Bannon, compiere un salto di qualità in avanti nella realizzazione di una maggiore integrazione e cooperazione tra gli stati, a cominciare dalla difesa europea e da un grande piano di investimenti per rilanciare il welfare, rafforzare la capacità di innovazione, realizzare una transizione ecologica che non lasci indietro nessuno e proietti il Vecchio Continente nel futuro. Nei trent’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale (1945-1975), l’Europa ha vissuto l’età dell’oro della giustizia sociale e della democrazia. Oggi bisogna riparare i guasti del turboliberismo, dare una risposta alla domanda di protezione di cittadini e imprese per difendere al tempo stesso le istituzioni democratiche e costruire l’alternativa all’estrema destra nazional-populista. Un compito ciclopico, a cui però la sinistra di governo europea non può sottrarsi, pena la sua progressiva marginalizzazione a tutto vantaggio dei populismi di destra e di sinistra.

Quando dichiara guerra ai migranti deportandoli a Guantanamo come fossero terroristi dell’Isis o quando vaneggia la «Riviera di Gaza» senza l’ombra di un palestinese all’interno o dà il via libera alla nuova atroce mattanza di palestinesi, Trump non è il “traditore dell’Occidente”, cosa che diviene quando prova a negoziare sull’Ucraina.

I primi passi della seconda amministrazione Trump rappresentano un tradimento non soltanto della cultura occidentale di stampo liberal-democratico ma degli ideali di giustizia e di pace su cui era stata ricostruita la comunità internazionale dopo l’ondata devastatrice del fascismo e del nazismo. Senza alcuna nostalgia per la lunga stagione della Guerra fredda, il dialogo privilegiato tra Trump e Putin riporta indietro le lancette del tempo e cancella drammaticamente i valori del confronto dialettico tra i popoli e la ricerca costante di un equilibrio fondato sulla convivenza pacifica. Sembra quasi di assistere in qualche momento a una partita di Risiko. Il video del “Resort Gaza” è quanto di più aberrante si potesse immaginare, al pari della minaccia di un imprenditore privato (poco importa se è uno degli uomini più ricchi al mondo) di oscurare i satelliti, fondamentali per garantire un efficace schermo difensivo per l’esercito ucraino. Il silenzio assordante in questi tre anni di guerra è stato quello dell’Europa, incapace di un’azione per la ricerca negoziata della pace, anche se oggi appare evidente come Putin avesse in testa un unico obiettivo strategico da perseguire: ritornare a essere riconosciuto come un interlocutore alla pari dagli Stati Uniti, in una logica da superpotenza nucleare. Oggi è l’alleanza tra le due sponde dell’Oceano a essere, per la prima volta dopo decenni, messa in discussione con l’apertura da parte americana del fronte dei dazi e dell’annunciato, progressivo sganciamento militare Usa dal teatro europeo e mediterraneo. Sul fronte interno, invece, le retate di stranieri propagandate da Trump riportano anch’esse indietro le lancette a tempi bui e stridono non soltanto con le leggi americane e la loro Costituzione, ma più complessivamente stanno oscurando il “sogno americano”.

Per le sue posizioni sul riarmo europeo, Elly Schlein è sotto attacco. C’è chi invoca un congresso straordinario sull’onda della spaccatura nel voto sul Libro bianco della Difesa degli europarlamentari dem.

Il documento votato in modo unanime dai gruppi parlamentari del Pd sui temi, in particolare, della difesa europea ha sanato lo strappo consumato nell’ultima sessione del Parlamento Europeo tra i dem. Nella richiesta di un radicale cambiamento della proposta di riarmo dei singoli stati nazionali c’è la sostanza della posizione equilibrata della segretaria Elly Schlein su di un dossier così delicato e complesso, oltreché divisivo anche nell’ambito più grande della sinistra europea. Oggi, come detto, riarmare gli stati nazionali potrebbe essere una scelta di cui potremmo pentirci amaramente, mentre occorre lavorare per rilanciare una maggiore coesione in chiave europea nella consapevolezza che non ci sono alternative a questa strategia se vogliamo garantire, e se possibile migliorare, gli standard di sicurezza sociale, a cominciare dalla sanità e dell’istruzione pubblica.

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Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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