Guerra: il tempo del Jobs act è passato, la posizione Pd è per 5 sì

Alfonso Raimo - Huffington post
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Colloquio con Huffington post

di Alfonso Raimo

Meno male che c’è il compagno Ignazio La Russa. Da quando il presidente del Senato ha invitato a non votare ai referendum dell’8 e 9 giugno (“farò propaganda perché la gente resti a casa”, ha detto) i referendari hanno riscontrato un’impennata dell’attenzione ai quesiti referendari. Ora attendono che parli Matteo Salvini, finora piuttosto silente. “Ma di aiuti come quelli di La Russa ne faremmo volentieri a meno. I ruoli istituzionali vanno distinti dai ruoli di parte, e La Russa dovrebbe capirlo”, dice Cecilia Guerra, responsabile lavoro della segreteria di Elly Schlein.

In casa Pd l’argomento di giornata non è tuttavia la posizione del primo inquilino di Palazzo Madama, ma la lettera che un gruppo di esponenti riformisti del partito ­- Giorgio Gori, Lorenzo Guerini, Marianna Madia, Pina Picierno, Lia Quartapelle e Filippo Sensi – ha scritto a Repubblica per annunciare che loro andranno a votare sì, ma ritireranno solo due schede, quella relativa al referendum sulla cittadinanza e quella sulla responsabilità negli appalti. Sugli altri tre quesiti – relativi alla disciplina del lavoro – preferirebbero che si aprisse un dibattito parlamentare.

Ecco le ragioni dei riformisti: Il jobs act – spiegano – è stato introdotto dieci anni fa dal Pd e oggi lo stesso Pd lo sconfessa, rispondendo alla sollecitazione della Cgil. In secondo luogo, votando sì ai quesiti sul lavoro non si torna affatto all’articolo 18 ma alla riforma Monti-Fornero. Il jobs act – aggiungono poi – è l’ultimo provvedimento organico sul lavoro varato in Italia, ed ha l’obiettivo di “combattere il precariato e superare la frattura tra lavoratori ‘iper-garantiti’ e lavoratori ‘periferici’”. Meglio dunque affidarsi a politiche attive che “agitare un simulacro fuori dal tempo”, che divide il campo progressista e sindacale, visto che la Cisl è contraria, la Uil per la libertà di voto, e la Cgil a favore.

“Io rispetto la loro posizione, la ritengo legittima ma non è la posizione del Pd”, dice Cecilia Guerra. Che aggiunge: “La direzione nazionale ha votato un deliberato che ci impegna ad esprimere cinque sì ai referendum. In quell’occasione, un gruppo di persone non ha votato la proposta della segretaria. Peccato. In ogni caso la direzione è l’unico organismo in grado di parlare per tutto il partito. La posizione del Pd è dunque per cinque sì”.

Chiediamo una replica articolata punto per punto.

I riformisti dem dicono che la lotta contro il jobs act in nome dell’articolo 18 è fuori tempo massimo. E che in ogni caso il referendum non ristabilirà l’articolo 18, ma la legge Fornero. Secondo Cecilia Guerra questo è falso. “Se passasse il sì al referendum – spiega la responsabile lavoro del Nazareno – verrebbe ristabilito l’art. 18 dello Statuto come rivisto dalla legge Fornero. Una delle importanti funzioni del referendum è eliminare la discriminazione tra chi è stato assunto prima o dopo il 7 marzo 2015”.

Vogliamo spiegare in cosa consistono i quesiti sul jobs act? “Rispetto alla disciplina attuale la proposta del referendum allarga di molto le situazioni in cui se una persona è licenziata in modo illegittimo, deve essere reintegrata sul posto di lavoro e non semplicemente maturare il diritto a un indennizzo”.

Questo vale nei due casi di licenziamento. Quelli disciplinari e quelli collettivi. È giusto? “Nel primo caso – spiega Guerra – di fronte a un licenziamento disciplinare illegittimo (mettiamo il caso di un lavoratore che fuma in bagno), con la disciplina attuale il lavoratore avrebbe un indennizzo. Con quella referendaria avrebbe diritto al reintegro. Nel caso di licenziamenti collettivi in cui il datore di lavoro non rispetta i criteri che la legge definisce per scegliere le persone da licenziare (ad esempio l’anzianità, la condizione familiare…), oggi il licenziato matura il diritto all’indennizzo, domani il diritto al reintegro”.

I riformisti del Pd sostengono che se passasse il referendum diminuirebbe anche l’ammontare dell’indennizzo che passerebbe da 36 mesi a 24. “L’indennizzo – dice Cecilia Guerra – oggi va da 6 a 36 mesi. Il referendum lo riporterebbe da 12 mesi a 24. È vero che si ridurrebbe il tetto massimo, ma si alzerebbe il minimo. Il punto chiave, in ogni caso, è che si amplia di molto la possibilità di reintegrazione e dunque l’indennizzo si applicherebbe in molti meno casi”.

Il Pd ha votato il jobs act, è stato un errore? “Nel jobs act ci sono state cose positive, come le norme sulla Naspi, o sui congedi di maternità o sul divieto di dimissioni in bianco. Ma il referendum non interviene su questo, ma solo sulla disciplina sanzionatoria dei licenziamenti illegittimi, cioè privi di valida ragione economica e disciplinare. Ai miei colleghi dico che le cose evolvono. Quando è stato votato il jobs act era un mondo diverso. Nessuno vuole fare uno sgarbo a chi l’ha votato. Il tema è se le norme che scaturirebbero dai referendum sono adeguate alla realtà di adesso: io penso di sì, perché non si dovrebbe dare sostegno a licenziamenti possibili per colpe disciplinari leggere e discriminare i lavoratori gli uni dagli altri”.

I riformisti del Pd usano la parola “simulacro” per dire che agitate un feticcio. “Il lavoro a termine non è un simulacro. È vero che i contratti a termine sono diminuiti, ma non per i giovani, che entrano nel mondo del lavoro con contratti a termine reiterati per anni. Noi non siamo contro i contratti a termine, ma contro l’abuso dei contratti a termine. A Forlì c’era un’azienda che aveva 130 dipendenti: 11 assunti amministrativi a tempo indeterminato e 120 in somministrazione con contratti rinnovati di settimana in settimana. Noi vogliamo andare contro la patologia del sistema”.

Il problema di questo referendum è il quorum, la partecipazione al voto. Resta molto difficile. Nel Pd circola l’idea di una manifestazione di piazza da organizzare prima dell’8 e 9 giugno per alimentare l’affluenza. “È un’ipotesi di cui si discute, vedremo in che termini. Noi il referendum vogliamo vincerlo. Intanto ci battiamo perché non ci sia censura nei media e nel modo in cui media trattano i referendum, in chiave puramente tattica, e senza entrare nel merito. La maggioranza di governo non ha mai detto una volta perché sono contrari. Si limitano a sperare che fallisca”.

Anche il sindacato è diviso. È un altro punto che i riformisti dem vi rimproverano. “Il sindacato purtroppo è diviso su varie cose. Per fortuna nelle contrattazioni importanti sono ancora uniti. In ogni caso noi ascoltiamo tutti. L’unità sindacale è un bene per il paese, non per questa o quella forza politica”.

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Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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