di Arturo Scotto
Chi ha un ruolo istituzionale non ha il diritto di dire: non li sopporto più. Perché quando arrivi a pronunciare una frase del genere significa che corri il rischio di sostituire l’emotività alla politica. E, dunque, in qualche modo di aver messo da parte i ferri del mestiere. È una premessa doverosa che però non cancella uno stato d’animo che mi accompagna e mi tormenta. E non credo di essere il solo.
Forse perché la sensazione conclamata di impotenza ha preso il sopravvento davanti alla interminabile sequenza di follie di questi mesi. Eppure prima Kiev, poi Gaza e ora Beirut ci raccontano della crisi della politica come strumento razionale di regolazione delle controversie. La parola pace è diventata nella migliore delle ipotesi sinonimo di diserzione. Nella peggiore, invece, pura e semplice intelligenza con il nemico, si chiami Putin o Hamas fa poca differenza.
La parola guerra è stata definitivamente sdoganata nel lessico quotidiano. La sua inevitabilità appartiene all’ambito delle cose della vita, come l’infanzia, l’adolescenza e la maturità. Non importa che essa sia semplicemente un’invenzione dell’uomo, la conseguenza diretta della supremazia di interessi economici giustificati sotto il velo ipocrita della difesa di valori non negoziabili. La guerra fa guadagnare i pochi proprio perché fa morire i molti: ma a nessuno viene più raccontata così. Dall’informazione embedded innanzitutto. Ma anche da chi dovrebbe assumersi sulle spalle la responsabilità di rendere dialettico quello che viene presentato come lineare, oggettivo, immodificabile. Innanzitutto dai governanti, soprattutto quelli che si presentano come illuminati difensori del diritto. Si sono messi l’elmetto e hanno cancellato le sfumature.
Ma sono sempre state le sfumature la forza dell’Occidente, non la propaganda sulle certezze. Sono le sfumature che ci permettono di capire in profondità l’evoluzione dei processi storici, non i proclami granitici sui social. Sono le sfumature che rendono la diplomazia l’antidoto alla morte almeno dalla guerra di Troia in poi, non le manifestazioni di “ira funesta” che incentivano la fame di vendetta.
Chi ritiene le sfumature un atto di insubordinazione al nuovo ordine mondiale ti risponde con un postulato: è la guerra, bellezza. Anche quando muoiono diecimila bambini in un territorio cinque volte più piccolo di Roma sotto le bombe martellanti di un esercito che per combattere il terrorismo ha dimenticato cosa genera il terrore di bombe indiscriminate ogni santo giorno per un anno intero senza tregua né respiro. O forse lo sa benissimo e non se ne cura, perché sa che gode di una impunità imperitura.
Qualcuno degli alfieri più convinti della lotta al terrorismo ha dichiarato addirittura che non esistono civili innocenti a Gaza. Lo stesso ragionamento bastardo che avevano fatto i miliziani di Hamas quel maledetto 7 ottobre. Non ci sono civili, tutti sono obiettivi. E come se non bastasse, anche in Libano non ci sono civili. A partire dai bambini, visto che ammazzarne quaranta in una notte vuol dire prevenire una loro possibile carriera da terroristi. Meglio farla finita prima, insomma.
L’Occidente si balocca della propria superiorità democratica che non ha mai bisogno dei sottotitoli. Ma contro gli antidemocratici usa esattamente le stesse leve che dovrebbe combattere: al diavolo le costituzioni, al diavolo il diritto internazionale, al diavolo il ruolo degli organismi multilaterali. Al diavolo soprattutto la libera espressione del dissenso. Fino al fotogramma indelebile di un bambino inseguito a Berlino da una decina di poliziotti solo perché aveva compiuto la marachella di andare in giro a sventolare una bandiera palestinese. Mi è venuta in mente una scena del Monello di Charlie Chaplin. Sempre la stessa storia, il potere quando diventa ottuso finisce per apparire persino comico.
La puzza di neomaccartismo contagia i telegiornali, i talk show, i quotidiani. Qualcuno addirittura arriva a sostenere che chi è contro l’uso delle armi occidentali nel territorio russo sia un “adoratore del diavolo”. Solo le armi possono parlare. Soprattutto perché gonfiano il portafoglio di chi in questi tre anni ha ricevuto commesse multimilionarie. Per loro la guerra conviene, deve durare quanto più tempo possibile. Saltino i caveat, si autorizzi tutto quello che è possibile autorizzare. Anche a costo di scatenare guerre di attrito tra potenze nucleari. Te lo spiegano con rapporti voluminosi celebrati come illuminati dalla Commissione europea o con convegni cervellotici pieni zeppi di consiglieri del principe che non c’è alternativa all’aumento delle spese militari. Che se vuoi contare, devi armarti. Se vuoi fare politiche economiche anticicliche, devi armarti.
Soltanto che, come ci spiega Andrea Riccardi, “bisogna preparare la pace per evitare la guerra, mentre oggi gli Stati pensano di risolvere i problemi con le armi. E la corsa agli armamenti che si fa più frenetica in questi ultimi anni ne è la conseguenza. Anzi il riarmo è un incentivo a fare la guerra”.
D’altra parte, da che mondo è mondo funziona così: se hai una pistola nel cassetto nove volte su dieci finisci per usarla. E l’Europa democratica che sceglie questa strada rischia di diventare “instrumentum regni”. Perché la guerra spalanca sempre le porte alla legittimazione definitiva del nazionalismo. Perché si sa i nazionalisti sono più bravi a maneggiare quella materia incandescente che è la guerra. Ce l’hanno nel sangue. Preparargli il terreno non è semplicemente una cattiva idea, ma una forma di secessione dalla complessità. E dunque dall’Occidente, che invece sulla complessità avrebbe dovuto costruito il proprio posto nella storia.
Se perdi questa specificità vuol dire che sei entrato nel pieno di un declino irreversibile. Che è figlio di tanti fattori: economici, produttivi, scientifici, ambientali, demografici. Ma soprattutto di una crisi di credibilità che diventa sempre più sfacciata.
Dopo l’11 settembre gli USA di Bush e la Gran Bretagna di Blair truccarono le prove pur di scatenare la guerra in Iraq. Quella ferita non si è mai più rimarginata. Ha generato una diffidenza incalcolabile in enormi masse umane a cui era stato spiegato che la democrazia era esportabile solo sui cacciabombardieri. Non hanno conosciuto la democrazia, ma in cambio le guerre le hanno conosciute tutte.
Oggi gli si ripropone il caro vecchio doppio standard. Con una carica retorica ancora più poderosa del 2001. Anche perché profondamente ipocrita. Gli chiedi di moderare la forza ma gli continui a dare le armi. Parli di diritto internazionale ma quelle regole non sono uguali per tutti. C’è sempre uno più uguale degli altri. In mezzo noi. Che guardiamo il loro piedistallo e ci affidiamo ancora una volta alla loro esperienza. Che però da un po’ di tempo a questa parte non coincide più con nessuna forma di saggezza. Non li sopporto più.