di Andrea Carugati
Arturo Scotto, deputato Pd. Il vostro alleato Conte non sa scegliere, neppure adesso nel 2024, tra Trump e Biden. Che effetto le fa?
Lo dico con amicizia: non si può esitare, bisogna scegliere. Una cosa è capire e interrogarsi sulla capacità di un miliardario di rappresentare un pezzo dell’America profonda e dimenticata. Altra cosa è mostrare una discreta equidistanza tra Trump e Biden. Non sono la stessa cosa, non rappresentano la stessa idea d’America. L’universo dei valori di Trump nega la libertà di autodeterminazione delle donne, rifiuta la società aperta e multietnica, contesta alla radice il climate change, avanza un modello di capitalismo selvaggio. È il capo della destra mondiale. Quello che ha ispirato Salvini come Milei, Bolsonaro come Netanyahu. Di che parliamo?
È ragionevole per un leader che si definisce «progressista» un’incertezza di questo tipo? Come se la spiega?
Trumpismo e progressismo sono incompatibili, Conte non può non saperlo. L’amministrazione Biden sicuramente ha deluso un pezzo d’America, non ha ridotto le ragioni dei conflitti sociali e culturali che l’attraversano, nonostante coraggiose politiche industriali di stampo keynesiano. I democratici purtroppo non godono di buona salute, ma sono stati un argine nei confronti di chi fino all’ultimo ha provato a non accettare il risultato elettorale delle presidenziali di quattro anni fa. Capitol Hill resta una ferita globale per chi ama la libertà e la giustizia e un monito sui rischi che corre la democrazia nel tempo del ritorno dei nazionalismi. Non vederlo sarebbe miope.
Conte sostiene che sulla guerra in Ucraina si sente più vicino a Trump che a Biden perché potrebbe avvicinare un percorso di pace.
C’è un deficit di iniziativa diplomatica e qui c’è la responsabilità dell’America di Biden. Pensare che il conflitto si risolva con un vincitore non appartiene più nemmeno alla riflessione delle classi dirigenti statunitensi. Basta leggere il New York Times. Non si vince una guerra contro una potenza nucleare con 6000 testate. Trump si candida a interpretare questa stanchezza della guerra: ma non è pace, è semplicemente un modo di costruire una nuova stagione di deterrenza fondata su antiche sfere imperiali d’influenza dove il rispetto del diritto internazionale è calibrato su doppi e tripli standard. Uno scenario pericoloso in cui i primi a stare stretti siamo noi europei.
Sul Medio Oriente le posizioni di Trump sono note e decisamente distanti dalla causa palestinese. Come si conciliano le posizioni del M5S per un cessate il fuoco con il sostegno a Trump?
L’ex presidente dice che risolverà in un quarto d’ora i conflitti in Ucraina e in Medio Oriente. Ma le sue responsabilità storiche sono enormi. Innanzitutto, nel non aver implementato gli accordi di Minsk e aver sabotato sistematicamente qualsiasi protagonismo dell’Ue nello stabilire un nuovo disegno di sicurezza e cooperazione tra est e ovest. Se penso poi al rapporto strettissimo con la destra israeliana, lo scenario può solo peggiorare. Trump è stato il presidente che ha spostato provocatoriamente l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, che non ha mai condannato la politica di insediamenti illegali, che ha promosso gli accordi di Abramo senza tenere conto lontanamente del punto di vista palestinese. Anzi costruendoli sulla testa dell’Anp. Il suo nazionalismo porta la guerra esattamente come quello di Netanyahu. Che prolunga la strage di Gaza anche perché sembra aspettare un ritorno imminente di Donald alla Casa Bianca.
Il caso Rai. Conte si è smarcato dal sit-in organizzato dal Pd contro tele-Meloni. Come si costruisce un fronte delle opposizioni con questo fuoco amico?
Resto convinto che occorra continuare a investire nell’alleanza con il M5S e con tutti coloro che si sentono alternativi alla destra sovranista. Siamo diversi ma in Parlamento votiamo al 90% le stesse cose. Continuo a credere che Elly Schlein faccia bene ad essere “unitaria per due” come si diceva nel Pci. È una scelta che pagherà perché l’elettorato progressista premia la generosità, non il calcolo identitario. Quella di Conte sulla Rai mi sembra una polemica “col torcicollo”, mentre qui e ora dovremmo evitare che questa esperienza di governo si trasformi in un regime. Lavorando insieme. In piazza, in Parlamento e nelle elezioni amministrative.