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Speranza: gli universitari nelle tende ci dicono di non rassegnarci

Roberto Speranza - Avvenire
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Mario Rossi - La Repubblica

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Pubblicato su Avvenire

di Roberto Speranza

Le manifestazioni studentesche in corso nei principali atenei occidentali rappresentano un fatto politico rilevante. Ho iniziato ad interessarmi della cosa pubblica  proprio tra i banchi di scuola e poi all’università. Sono convinto che ciò che avviene tra i ragazzi in formazione meriti un’attenzione non superficiale. Svariati osservatori hanno enfatizzato gli aspetti critici di quelle manifestazioni. Penso ad alcuni deprecabili episodi di scontri e violenze e penso soprattuto ad alcuni  limitatissimi, ma assolutamente inaccettabili, accenti antisemiti. Non voglio in alcun modo sottovalutare questi elementi. È un dato di fatto che i fenomeni di antisemitismo in Europa e nel mondo stiano crescendo in modo allarmante e siamo tutti chiamati al massimo sforzo per contrastare questa preoccupante dinamica. Credo però che sia un grave errore guardare alle manifestazioni studentesche per Gaza solo con gli occhi della critica.

La mia opinione è che le tende alzate dai nostri studenti, nel messaggio di fondo che lanciano, rappresentino un segno di speranza per l’oggi e per il domani.

La stragrande maggioranza di quei ragazzi sta facendo sentire la propria voce per riaffermare un’idea di giustizia e di pace dinanzi ad una operazione militare dall’impatto devastante in termini umanitari. La sacrosanta lotta al terrorismo, su cui lo Stato di Israele aveva trovato l’immediata solidarietà di larghissima parte della comunità internazionale, si è trasformata, con un gigantesco errore politico del governo Netanyahu, in una rappresaglia contro un’intera popolazione che vede negati i propri diritti e le proprie speranze di futuro, in contraddizione con le più basilari norme del diritto internazionale. Dinanzi ad un’ingiustizia così clamorosa c’è una generazione che dice no e che pone “da occidente” il tema di come costruire una prospettiva di pace in Medio Oriente, prospettiva che è interesse dello stesso Stato di Israele oltre che dei palestinesi e di tutti noi. Per troppo tempo la questione mediorientale è stata rimossa dalla nostra agenda politica, nella illusione che essa fosse di fatto risolta. Gli ultimi mesi ci hanno dimostrato drammaticamente che non è così, la voce dei nostri studenti indica proprio la necessità di una nuova attenzione da parte di tutti i player globali.

C’è un altro elemento di natura geopolitica su cui vorrei si riflettesse: il rapporto tra occidente e mondo arabo. È un tema delicato e strategico, soprattuto in un mondo dove sono andati in frantumi i vecchi equilibri e che fatica a trovare un rinnovato ordine globale. I nuovi protagonismi, a partire da quello cinese, sono ormai una realtà consolidata ed Europa e Stati Uniti appaiono troppo spesso incapaci di delineare una strategia nell’attuale contesto di un nuovo multipolarismo.

Attorno alla tragedia di Gaza rischia drammaticamente di consumarsi una nuova terribile frattura tra mondo arabo e occidente. Dentro questo quadro, la voce dei nostri ragazzi ha la straordinaria capacità di lanciare un messaggio di empatia e di comprensione del dramma che si sta vivendo in Terra Santa. È un messaggio di protesta rivolto sicuramente ai nostri governi, rei di non fare abbastanza per fermare l’escalation militare, ma è un messaggio che contemporaneamente arriva anche alle opinioni pubbliche del resto del mondo e dice che non è vero che di quelle ingiustizie e di quella sofferenza non frega a nessuno dalle nostre parti. Questo messaggio positivo rappresenta un valore importante, un seme per il futuro. La frattura tra “the West” and “the Rest” è uno dei grandi problemi di questo tempo e rischia di alimentarsi drammaticamente anche a Gaza. La voce dei nostri ragazzi è preziosa anche perché offre un segno che va nella direzione opposta, quella del dialogo e della concordia tra i popoli.

Sono stato a Kfar Aza a dicembre. Ho visto con i miei occhi cosa è stata l’inaccettabile tragedia del 7 ottobre. Non potrò mai dimenticare la disumanità di ciò che è avvenuto. Ho intuito in quelle ore la frattura insanabile che avrebbe provocato nella stragrande maggioranza degli israeliani, segnando un punto di non ritorno nelle relazioni con i palestinesi. Non sto parlando solo dei governi. Attorno al 7 ottobre e alla conseguente azione militare dell’esercito israeliano si è consumata una rottura profonda di natura popolare, nell’uno e nell’altro campo. Si sono diradate le zone grigie e si sono indebolite le aree di dialogo e di collaborazione tra i due popoli. Ho trovato un muro molto più alto di quello che avevo incontrato nelle precedenti missioni. Ho ascoltato famiglie dei rapiti e visto nei loro occhi il terrore che mangia le residue speranze. Ho assistito inerme alla brutale reazione del governo Netanyahu che ha avuto la paradossale conseguenza di trasformare la vittima del 7 ottobre nell’aggressore dei mesi successivi.

Sono intimamente toccato da ciò che avviene ogni giorno in Terra Santa. Non riesco a far finta che quella storia non mi riguardi e non ci riguardi. Oggi in Medio Oriente sembra tutto nero. Eppure non dobbiamo perdere la speranza. Non dobbiamo rassegnarci. Alla fine i nostri ragazzi ci stanno semplicemente dicendo questo. E non è poco.

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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