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Tridico: il Sud tradito dall’autonomia differenziata della destra

Pasquale Tridico - la Repubblica
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Mario Rossi - La Repubblica

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Pubblicato su Repubblica

di Pasquale Tridico

La legge sulla autonomia differenziata cristallizza le diseguaglianze regionali esistenti ed elimina gli spazi per le politiche di coesione e di convergenza. In sostanza, con il ddl Calderoli lo Stato butta la spugna: sembra infatti una resa a favore delle regioni più ricche. Non si riescono (attraverso il mercato) a ridurre i divari tra Nord e Sud, quindi meglio lasciarli correre a favore del Nord che spendere risorse pubbliche nel Sud. Questo sembra il messaggio sottinteso. Infatti dopo che andrà in vigore questa legge sarà impossibile trovare risorse residuali, già scarne oggi, per favorire lo sviluppo al Sud, perché se c’è un residuo fiscale, questo sarà trattenuto dalle regioni più ricche che ne sono i “proprietari” – questa la tesi principale degli autori del ddl.

Come se le regioni italiane fossero titolari di un premio per essere più ricche, e possano accumulare risparmi dovuti alla differenza tra le tasse che pagano e i servizi che ottengono, senza guardare alla spesa storica del Paese fin dalla Unità d’Italia che ha favorito, secondo tutti gli studi di storia economica, le regioni del Nord, più vicine ai mercati europei in crescita, in tutte le occasioni di ricostruzione: 1) dopo l’Unità d’Italia, 2) dopo la ricostruzione successiva alla prima guerra mondiale, 3) dopo la seconda ricostruzione successiva alla seconda guerra mondiale e 4) dopo il trattato di Roma del 1957 che ha creato la comunità economica europea e ha creato uno spazio economico che ha favorito soprattutto le regioni europee più vicine al cuore dell’Europa più industrializzato, dotato di collegamenti e infrastrutture più efficace e in grado di abbattere i costi di trasporto.

In tutte queste ricostruzioni, gli investimenti in conto capitale al Nord sono stati sempre maggiori rispetto a quelli verso il Sud, per la creazione di infrastrutture, strade, aeroporti, tecnologie avanzate capaci di competere con il centro e il nord Europa, più attrattivo rispetto ai paesi più poveri del sud mediterraneo, vicini alle regioni del sud Italia. Questa giustificazione, che pure aveva una logica economica, si basava sull’idea che il fabbisogno di manodopera necessario all’industrializzazione delle regioni del nord fosse assicurato dagli immigrati delle regioni del sud che lasciavano le campagne. Nel corso del 900 (come risulta da diverse analisi, inclusi i rapporti Svimez) i lavoratori che hanno lasciato le campagne del sud sono stati 25 milioni, e si sono trasferiti prevalentemente, almeno la metà di loro, nelle città del nord in via di industrializzazione. Una risorsa in capitale umano enorme, sottratta allo sviluppo del Sud.

La geografia, non solo secondo i primi studiosi della questione meridionale, quali Francesco Saverio Nitti e Gaetano Salvemini, ma anche per gli economisti contemporanei come Vittorio Daniele, ha giocato un ruolo determinante nel creare e accentuare i divari tra Nord e Sud. Le scelte economiche dei vari governi dall’Unità in poi hanno seguito considerazioni e vincoli imposti dalla geografia politica. Le differenze tra Nord e Sud, secondo questi studiosi, erano inferiori nel 1861 rispetto al 1951. Secondo Vittorio Daniele (Il Paese diviso, Rubbettino, 2019) a fine Ottocento i salari erano simili, così come anche gli indicatori di benessere, e i livelli di pil pro capite erano solo 10% più alti al nord; nel 1951 invece il reddito pro capite nel Mezzogiorno era sceso drammaticamente alla metà di quello del Nord.

La spesa storica quindi è fatta non solo di investimenti pubblici mancati al sud e infrastrutture costruite al nord, ma anche in termini di sviluppo duale, disegnato a tavolino, rispondente a una logica precisa, che era quella di ottenere i maggiori benefici nella competizione industriale europea, anche al costo di sacrificare lo sviluppo del Meridione. Questa logica è durata almeno fino agli anni 50, quando fu introdotta la Cassa del Mezzogiorno, che garantì, infatti, per la prima volta nella storia dell’Italia unita, una certa convergenza tra le regioni del Centro-nord e del Sud, con queste ultime che sono cresciute tra gli anni 60 e la metà degli anni 70, di più delle regioni del centro-nord. La soppressione della Cassa del Mezzogiorno dal 1984 in poi, non ha certo migliorate le cose. Contestualmente, le crisi che iniziano con gli shock petroliferi degli anni settanta, la competizione dei paesi emergenti, dalle ex Repubbliche Jugoslave ai paesi asiatici, le crisi sociali e le proteste sindacali, pongono nuove sfide, e l’Italia, soprattutto quella del Sud, ancora fragile nel modello industriale, non riesce a essere competitiva come dovrebbe, in questi nuovi processi globali. Il Sud ne soffre di più e ristagna.

Al mancato sviluppo del Sud si cercò di sopperire con politiche assistenziali, certo necessarie, di sostegno al reddito che assicurassero una coesione sociale. Sbagliato è però considerare oggi solo questa spesa nel conto dei vantaggi del Sud, e non il costo opportunità dello svuotamento di bacini di manodopera specializzata che di nuovo, dal 2000, è ripreso a un ritmo che sembra essere quello successivo alla seconda guerra mondiale, che ha portato ad una fuga di circa 1,3 milioni di giovani in 20 anni, molti dei quali, il 30%, anche dotato di lauree e specializzazioni, questa volta, con un danno in termini di capitale umano disperso, ancora maggiore rispetto all’emigrazione del 900 (come dimostrano diversi rapporti Svimez). Ciò che è apparsa, per molti, nel 900, una soluzione al sottosviluppo del sud, l’emigrazione, oggi possiamo dire con certezza che è stata alla fine la principale causa che ha allargato i divari con il Nord. Con questa scelta di ulteriore autonomia regionale appena approvata in Senato, si compie un vero e proprio tradimento verso il Sud e verso la storia del Mezzogiorno, facendo riemergere di nuovo la “questione meridionale” nella sua essenza politica.

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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