Pubblicato su InPiu.net
di Vincenzo Visco
Le polemiche interne alla maggioranza sulla manovra si concentrano su argomenti spesso futili e sulla difesa di interessi micro-settoriali difficilmente difendibili. Anche l’intervento sugli extraprofitti (delle banche) che in teoria poteva avere un senso, data la ridotta tassazione dei profitti che oggi caratterizza buona parte dei sistemi fiscali, non essendo una misura generale applicabile a tutte le imprese previa una definizione economicamente corretta di profitto ordinario, bensì un intervento su un solo settore, finisce per apparire come una sorta di estorsione a carico solo di alcune imprese, e precisamente di “quelle in cui ci sono i soldi” come spiegò oltre un secolo fa un famoso bandito americano specializzato in rapine bancarie. Queste polemiche, peraltro, sembrano anche contraddire e rimettere in discussione l’unico aspetto positivo della politica economica del governo negli ultimi 3 anni, e cioè l’attenzione agli equilibri di bilancio che per la destra italiana rappresenta una novità di rilievo. Anche se l’equilibrio viene ottenuto grazie a un aumento delle tasse, soprattutto sui redditi di lavoro dipendente, e con la rinuncia ad ogni intervento utile a stimolare una crescita stagnante, se questa convinzione si consolidasse, non sarebbe male. Ma il punto fondamentale appare un altro, e cioè il rifiuto a riconoscere che la situazione del Paese è grave, molto grave, e che siamo avvolti in una spirale di declino che dura ormai da più di 20 anni, e che viene ignorata dal governo, e anche dall’opposizione.
Pochi dati possono riassumere la situazione: tra il 2000 e il 2019 il Pil reale pro capite della zona euro è cresciuto in media del 19%, quello italiano è rimasto invariato. Mentre nel 2000 il pil reale pro capite italiano superava del 3% quello medio della zona euro, nel 2019 esso risultava inferiore alla stessa media del 17! Gli investimenti fissi lordi si sono ridotti di diversi punti percentuali, e tra il 2013 e il 2017, al netto degli ammortamenti, sono risultati addirittura negativi! Esiste in Italia una enorme questione salariale. Nel corso degli anni 2000 la quota del reddito nazionale destinata al lavoro si è ridotta di 10 punti percentuali (e di altrettanto è aumentata quella dei profitti e delle rendite), ed oggi risulta inferiore al 50%. Nei 30 anni tra il 1990 e il 2020, i salari sono aumentati in Germania del 33%, il Francia del 31%, mentre in Italia sono diminuiti del 2,9%. Tra tutti i Paesi OCSE l’Italia è quello in cui la perdita di potere d’acquisto dei salari è stata maggiore. I giovani, soprattutto laureati, lasciano il Paese. Siamo ormai diventati un popolo di cuochi, camerieri e affittacamere! Le imprese non investono perché i profitti sono garantiti dal basso costo del lavoro e dai sussidi pubblici. Il sistema tributario è un colabrodo che sancisce disparità di trattamento ingiustificabili e inaccettabili. La scuola non funziona, la sanità è in crisi. Quando vogliamo cominciare a discutere su cosa fare, ammesso che siamo ancora in tempo?


