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Visco: il nazionalismo economico in Europa fa male a tutti

Vincenzo Visco - Il Sole 24 Ore
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Mario Rossi - La Repubblica

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Pubblicato su Il Sole 24 Ore

di Vincenzo Visco

L e sfide che dovrà affrontare l’economia europea nei prossimi anni sono molto impegnative, e da questo punto di vista l’accordo raggiunto sul patto di stabilità non può certo essere considerato un successo, né ci si può consolare dicendo che esso è (lievemente) migliore dell’accordo preesistente. La proposta iniziale della Commissione era invece molto impegnativa, innovativa e interessante in quanto ipotizzava un accordo tra la Commissione stessa e ogni singolo Stato, su proposta di ciascuno di essi, e che tenesse conto della reale situazione economica e finanziaria di ognuno. In questo modo da un lato si “internalizzava” il vincolo esterno in quanto i singoli Paesi diventavano protagonisti diretti dei loro stessi programmi di politica fiscale, e quindi maggiormente coinvolti nella loro realizzazione concreta, e dall’altro, almeno in teoria, la Commissione poteva mettere in essere una politica di bilancio europea coerente con le esigenze macroeconomiche della zona euro, senza costringerla in regole eguali per tutti, ed evitando interventi pro-ciclici e deflazionistici. Un surrogato – imperfetto, ma comunque utile e positivo – di una politica fiscale comune. Tale approccio avrebbe comportato obiettivi e comportamenti differenziati tra i diversi Paesi: alcuni – come l’Italia e gli altri Paesi più indebitati, si sarebbero dovuti orientare a maggiore prudenza e alla graduale riduzione del debito, altri invece avrebbero dovuto realizzare politiche più espansive, in modo da portare benefici all’intera Unione sia in termini di stabilità che di crescita.

Questa proposta non ha retto ai timori e ai pregiudizi dei cosiddetti “frugali”, ed è quindi stata sostanzialmente svuotata con la reintroduzione di parametri eguali per tutti secondo un approccio one size fits all non solo privo di logica, ma già sperimentato senza successo negli anni passati. In sostanza, si riafferma una propensione a una gestione deflazionistica dell’economia europea orientata all’austerità di principio a causa di pregiudizi e sospetti in buona misura non fondati su elementi di realtà, e di sfiducia nella capacità della Commissione di riuscire a far rispettare gli impegni assunti dai governi. Questo atteggiamento è peraltro simmetrico a quello di segno opposto di altri Paesi impegnati esclusivamente nella ricerca di “margini di flessibilità” per i propri governi. In altre parole, sia i “frugali” che i “prodighi” hanno seguito logiche ristrette e nazionaliste e quindi autolesioniste, in un gioco a somma negativa sia per l’Europa sia per i singoli Stati.

Si tratta di un atteggiamento difficilmente comprensibile, soprattutto da parte della Germania, che negli ultimi anni ha visto dissolversi l’intero modello di sviluppo (?) verso cui aveva indirizzato la propria economia dopo l’introduzione dell’euro, e basato su una sorta di marco svalutato, l’euro (moneta forte e stabile, ma che riflette il peso non solo dell’economia tedesca, ma anche quello delle altre economie – meno forti – dell’Unione), la deflazione interna grazie al piano Hartz sul mercato del lavoro voluto da Schroder, e all’austerità, con conseguente contenimento del costo del lavoro, imposta agli altri Paesi dell’Unione, la delocalizzazione della produzione delle componenti dell’industria tedesca nei Paesi dell’allargamento dove i costi erano più bassi, l’energia a basso prezzo derivante dagli accordi con la Russia e dai relativi gasdotti (North Stream), gli accordi commerciali con la Cina. Tutto ciò aveva consentito di non peggiorare la competitività di prezzo, e promuovere un’impressionante crescita delle esportazioni, e di realizzare surplus annui della bilancia dei pagamenti che, partendo da una situazione di pareggio nel 2000, ha superato negli anni recenti il 70% del Pil tedesco, privando l’economia tedesca ed europea di una maggiore domanda interna che avrebbe consentito politiche espansive e sarebbe risultata estremamente utile per tutti (a partire dalle fatiscenti infrastrutture tedesche). Nel complesso, una strategia perdente e autolesionista, ma per lo meno coerente e rispettosa delle indicazioni dell’ordoliberismo, e che tuttavia ora appare, e risulta, impraticabile.

Come conseguenza la zona euro ha avuto una crescita media nettamente inferiore a quella degli Stati Uniti (1,2%, rispetto all’1,9%, e all’1,4 della Comunità europea), e ora si trova in seria difficoltà; ma soprattutto problematiche appaiono la situazione economica della Germania, rimasta priva di una strategia, e le sue prospettive.

Era quindi il momento di cambiare strategia, e riconoscere che il nazionalismo economico in Europa fa male a tutti i Paesi e rende impossibile competere alla pari con Usa, Cina, ecc. Sarebbe stato necessario un nuovo patto di stabilità più flessibile (ipotesi appena tramontata), il completamento dell’unione bancaria con l’introduzione della assicurazione sui depositi, la creazione di un unico mercato dei capitali europeo, in grado di contribuire al cofinanziamento da parte dei privati degli enormi investimenti necessari per la transizione digitale, energetica e la difesa comune dell’Europa, sostanziose emissioni di debito comune per realizzare questi progetti, una politica industriale europea con accordi e fusioni transfrontaliere per non perdere ulteriore terreno nella competizione internazionale.

Queste erano, e sono, le sfide che l’Europa dovrà affrontare nei prossimi anni, e che con l’assetto istituzionale esistente non sarà in grado di promuovere. Ci aspettano quindi anni difficili, di crisi e stagnazione che la possibile affermazione delle forze politiche nazionaliste ed euroscettiche renderebbe ancora più problematici, con seri rischi di regressione economica, e di ulteriore perdita di rilevanza internazionale. Sono questi problemi che dovrebbero essere al centro della prossima campagna elettorale per il Parlamento europeo.

Lavoro e democrazia. Per una legge sulla rappresentanza.

Il 25 novembre si è tenuta a Roma la prima iniziativa di Compagno è il Mondo. Sono intervenuti tra gli altri: Pier Luigi Bersani, Maria Cecilia Guerra, Elly Schlein, Arturo Scotto, Michael Braun, Cristian Ferrari, Michele Raitano, Alessandra Raffi.
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