Pubblicato su La Stampa
di Pier Luigi Bersani
Pubblichiamo un estratto dal libro “Chiedimi chi erano i Beatles” di Pier Luigi Bersani, in libreria per Rizzoli da oggi.
Ci sono solo due scelte nella vita delle quali, in premessa, si è sicuri di non doversi pentire: fare un figlio, e fare il sindaco. Molte volte ho sentito dire «sono stanco, non ne posso più, non mi ricandido». Ma mai, a mia memoria, ho sentito dire «ho sbagliato a fare il sindaco». In realtà l’esperienza amministrativa è quanto di più gratificante e formativo possa capitare. Ha la forza di un innamoramento, il sapore dolce di verificare che quando governi son tutti figli tuoi e devi trovare una soluzione per tutti. (…)
Maneggiando da par suo la chitarra, Richards scandisce il tempo con quell’infinitesimale anticipo che crea sospensione e scarica l’attesa in energia. Bisogna prendere le decisioni in anticipo sulle aspettative, e quando possibile prenderle prima di annunciarle. Gli annunci reiterati tolgono energia alle
decisioni e personalità al decisore. Il fatto inaspettato comunica più di qualsiasi campagna di comunicazione.
Il mio vero rimpianto, rispetto al non essere diventato presidente del Consiglio nel 2013, è di non aver potuto mostrare l’efficacia di questo metodo. Avevo pensato che per il primo Consiglio dei ministri del mio governo avrei fatto circolare l’idea che si sarebbe trattato della consueta formalità: conoscerci fra noi, dirci i buoni propositi. Il classico «giro di tavolo». Invece, sarei arrivato lì con le norme sullo ius soli già scritte, chiedendone l’immediata approvazione, sicuro che nessuno avrebbe osato obiettare alcunché (nella prima riunione!), e sarei uscito con un fatto prima che con un annuncio. Disposto ad andarmene a casa se la norma fosse poi saltata lungo l’iter parlamentare. Altrettanto avrei fatto in seguito con qualche lenzuolata, come del resto avevo fatto anni prima da ministro parlandone solo con il presidente del Consiglio senza che nessun altro ne sapesse niente fino al momento dell’approvazione in Cdm. (…)
Torniamo a Keith Richards: questo modo di «suonare» in politica non significa affatto sottovalutare il processo democratico di costruzione della decisione. Tutt’altro. Basta avere il famoso orecchio a terra: nelle società moderne c’è sempre a disposizione una miniera di opinioni e di posizioni a cui attingere per una decisione, che potrà poi essere calibrata durante i percorsi formali di partecipazione. Parlo di posizioni politiche, osservazioni e richieste di soggetti economici, iniziative di gruppi di cittadini. Per tacere del vero potere di un ministro: se chiami, nessuno rinuncia a venire e a risponderti senza allontanarsi troppo dalla verità, purché percepisca serietà e riservatezza. (…)
E qui entra in scena papa Giovanni. Un anticipatore e un contropiedista di fronte al quale il chitarrista impallidisce. Basterà ricordare come nominò il primo cardinale nero, o come convocò il Concilio a tre mesi dall’elezione al pontificato: interpretato da tutti e forse in primis dai suoi stessi elettori come un papa anziano e di transizione, una domenica mattina di gennaio del 1959 alla basilica di San Paolo fuori le mura disse che avrebbe convocato un nuovo Concilio Vaticano. Erano presenti una ventina di cardinali e si notò che erano rimasti ammutoliti. Un anno dopo, convocando un concistoro, piazzò senza preamboli nell’elenco dei nuovi cardinali il primo nero e africano della storia, il tanzaniano Laurean Rugambwa. Ma più ancora, di papa Giovanni, va considerata l’incredibile capacità di affrontare i contraccolpi e l’onda d’urto del cambiamento. Trasmetteva rassicurazione e tranquillità, perché era tranquillo lui, era sicuro lui.
Non sono cose che puoi recitare. Se le reciti, non le trasmetti. Sicuramente papa Giovanni è un profilo inarrivabile, che tuttavia ci insegna qualcosa di importante: per chi decide i dubbi sono preziosi, e vanno cercati; ma vanno sconfitti a uno a uno prima di mettersi all’avventura.